Cipro è a un passo dall’essere salvata dal default. Dopo l’ok del consiglio dei ministri economici della Ue che ha dato via libera all’accordo tra il presidente cipriota Anastasiades e la troika (Ue, Bce, Fmi), almeno sui tavoli istituzionali l’atmosfera sembra essere più tranquilla. Secondo l’accordo raggiunto la Laiki Bank sarà chiusa attraverso un processo controllato (per i depositi sotto i 100mila euro scatterà la garanzia europea, quindi saranno salvi). Inoltre, non ci sarà alcuna tassa o prelievo sui depositi, ma i depositi sopra i 100mila euro verranno congelati e poi convertiti probabilmente con obbligazioni dello Stato.
Molti i commenti da parte delle più alte cariche delle istituzioni internazionali. La cancelliera Angela Merkel si è detta molto contenta dell’accordo trovato e ha parlato di soluzione sostenibile. Ma quale aria si respira tra la gente comune, sull’isola? Gaia Zaccagni, docente di Letteratura neogreca nell’Università di Cipro, ne ha parlato con ilsussidiario.net.
Malgrado la crisi che l’ha colpita, a Cipro è festa nazionale. Come si sta vivendo questo momento?
Cipro è una terra piena di contraddizioni: si sente figlia della Grecia ma al tempo stesso vuole l’indipendenza. Festeggia sia la festa nazionale della Grecia, sia quella cipriota. L’esplosione di questa crisi ha preso un po’ tutti alla sprovvista nonostante i segnali ci fossero da tempo. Le banche sono chiuse da 15 giorni, si attende la riapertura, la gente è molto spaesata, preoccupata e arrabbiata, però la vita sembra continuare come se nulla fosse.
In che senso?
Ieri sono stata in giro in centro, era un giorno di festa, c’erano molte persone per strada, nei locali, era una bellissima giornata. Si cerca di vivere il quotidiano come se nulla stesse cambiando proprio per reagire alla crisi. In realtà, credo che presto i cambiamenti si vedranno. Hanno annunciato la chiusura della Laiki Bank, i conti della Banca di Cipro – quelli sopra i 100mila euro – saranno colpiti da un forte prelievo; sono previsti molti licenziamenti (la popolazione è limitata, nella parte greco-cipriota ci sono solo 700mila abitanti). Sono tutti molto preoccupati.
La gente è consapevole del fatto che sta rischiando molto?
Sì. E la reazione c’è stata. Nei giorni scorsi molta gente ha organizzato sit in, manifestazioni sotto il Parlamento. La prima proposta fatta dalla Troika sembrava una grande vittoria, poi in realtà le decisioni prese in seguito sono anche più pesanti.
Come si stanno organizzando i ciprioti?
Un gruppo di cittadini, di cui faccio parte anch’io, sta cercando di proporre qualcosa di alternativo. Il nostro gruppo si chiama Collettiva Utopia.
Cosa proponete?
Promuoviamo uso dei prodotti locali, cucina collettiva. Cuciniamo tutti insieme, gratuitamente, per chi ha bisogno. Ognuno dà quello che può, se può. Gruppi come qusto c’erano già prima che scoppiasse la crisi, ma adesso sono diventati dei punti di riferimento. Credo sia l’unico modo per uscire nel miglior modo possibile dalla crisi, dandosi da fare in proprio. Fino a poco tempo fa Cipro era un paradiso fiscale, la sua posizione è strategica, la scoperta di gas e petrolio fa gola a tutti. È una situazione complessa e delicata sotto vari punti di vista. L’unica soluzione possibile è tentare di disinnescare questo sistema, basato su interessi troppo lontani dalla vita quotidiana dei cittadini. Finora il denaro era tutto, e lo si vedeva dallo sfoggio di auto di grossa cilindrata sebbene l’isola sia piccola.
È già cambiato qualcosa?
Nicosia ultimamente è cambiata molto. È l’ultima capitale europea a essere ancora divisa: la linea verde che divide la parte greco-cipriota dalla parte turco-cipriota è una ferita per la città vecchia, che fino a poco tempo fa veniva snobbata dal cipriota medio, mentre ora è diventata il cuore della vita mondana. Sembra assurdo che questo stia accadendo proprio ora, in concomitanza con la crisi. Anche ad Atene è stato un po’ così. Si cerca la vita per allontanare le ombre che incombono.
La Chiesa cipriota sta contribuendo con fondi propri?
Ha promesso di dare molte delle sue proprietà allo Stato, al quale in realtà appartenevano in passato. A Cipro la Chiesa è ricca, ha un ruolo anche politico ed economico. Si è detta disponibile ad aiutare, penso che lo farà, non può più tirarsi indietro.
La gente è unita o divisa? C’è coesione di fronte a quanto sta accadendo?
L’altro giorno in piazza c’erano banchieri, avvocati, operai, gente di destra, di sinistra, tutti insieme a gridare gli stessi slogan, ma ognuno per un motivo diverso. La precarietà però accomuna tutti, questa è la novità: chiunque può essere licenziato all’improvviso, non avere più a disposizione i suoi risparmi. Questo stimola la gente a guardare al di là degli interessi del singolo.
Da chi si sentono tutelati i ciprioti?
Nell’Europa non credono più; credevano molto nella Grecia, la quale ora è in una situazione tale da non riuscire a badare nemmeno a se stessa. I ciprioti stanno cercando di definire la loro identità, anche se non è un percorso semplice perché la storia di Cipro è piena di avvicendamenti, di domini stranieri.
Ribellarsi all’Europa, in questo momento storico, coincide con l’essere nazionalista? È un pericolo?
Sì. Qui a Cipro sì. Perché considerando che metà dell’isola è sotto occupazione turca, basta un niente per riaccendere il nazionalismo. Gran parte della gente auspica che ci sia la riunificazione dell’isola, molti altri, invece, non lo vogliono. Intanto la Turchia ha un unico scopo: annettere tutta l’isola. Erdogan ha detto: “propongo come moneta cipriota la lira turca e come capitale Instanbul”. Ed essendoci l’occupazione militare ancora in atto, c’è il rischio che i ciprioti reagiscano con la violenza. Anche se non è certo quella la soluzione, né la strada per ricercare la propria identità.
(Elena Pescucci)