La Germania voterà no sulla richiesta di un riconoscimento della Palestina di fronte alle Nazioni Unite. Abu Mazen, presidente dell’Autorità palestinese, ha chiesto che l’Onu elevi lo status della “Palestina a Stati non membro osservatore”, e il portavoce del governo tedesco ha fatto sapere che si esprimerà in modo contrario. Il Regno Unito si asterrà, mentre Spagna, Francia e Svizzera voteranno a favore. Ilsussidiario.net ha intervistato Mohamed Abdel Azim, scrittore francese di origini arabe e giornalista di Euro News.
Che cosa ne pensa della posizione del Regno Unito, che si asterrà ma potrebbe votare a favore a determinate condizioni?
Gli inglesi per lungo tempo sono stati la principale potenza coloniale del Medio Oriente, nonché i firmatari della dichiarazione di Balfour da cui ha avuto origine la storia moderna dello Stato di Israele. La loro posizione è quindi un messaggio rivolto ai palestinesi, attraverso cui cercano di spiegare che non sono contro di loro, ma che è necessario che si dimostrino maggiormente pazienti.
Quali sono le sue aspettative nei confronti del voto all’Onu?
Il voto non cambierà molte cose dal punto di vista pratico. Il governo di Netanyahu non fermerà la sua politica di insediamenti, che già rappresenta un ostacolo per i colloqui o i negoziati di pace. Il voto non scoraggerà inoltre Hamas dal continuare la sua politica di aggressione contro migliaia di abitanti del Sud di Israele. Dopo gli scontri a Gaza di pochi giorni fa, la società israeliana è molto scettica su una possibilità di accordo e incapace di comprendere le richieste di un riconoscimento della Palestina come Stato. Il voto all’Onu non favorirà neppure l’unità tra Hamas e l’Autorità Palestinese. La sua unica utilità sarà quindi quella di rappresentare uno dei numerosi passi nel lungo cammino che ancora ci separa dall’istituzione di uno Stato palestinese.
Quindi lei è a favore o contro la scelta di Abu Mazen di rivolgersi all’Onu?
La vera questione non è se io sia favorevole o contrario alla procedura seguita da Abu Mazen. Dai tempi di Nasser, Sadat e Arafat, le valutazioni fatte dai leader arabi sulla questione palestinese sono state del tutto sbagliate. Arafat di fatto ha rifiutato qualsiasi possibilità che gli era stata offerta dall’amministrazione Clinton. La Conferenza di Madrid del 1991 e quella di Oslo del 1993 sono state dei fallimenti, cui ha fatto seguito un’altra lunga serie di buchi nell’acqua per quanto riguarda numerosi tentativi di trovare una soluzione pacifica al conflitto.
Quali speranze esistono oggi?
Senza un ritorno ai confini del 1967 non si arriva da nessuna parte. Si tratterebbe di un risultato molto positivo per i palestinesi, ma il problema è che purtroppo per il momento gli israeliani non accettano questa soluzione. La vera questione quindi non è l’esito favorevole o contrario del voto alle Nazioni Unite.
Il vero obiettivo dell’Anp è incriminare Israele di fronte alla Corte Internazionale di Giustizia?
L’Anp e la Lega araba stanno cercando di portare la questione palestinese di fronte alle sedi internazionali. Il voto all’Onu sarà quindi molto importante per gli Stati arabi e soprattutto per i palestinesi, in quanto può rappresentare un’azione simbolica molto importante da parte degli Stati di tutto il mondo. I palestinesi e la Lega araba stanno cercando di mandare il seguente messaggio: “Se non riusciremo a trovare una soluzione tra israeliani e palestinesi per fermare gli insediamenti e avviare i colloqui sulla possibilità di uno Stato palestinese a fianco di quello israeliano, l’Autorità palestinese ricorrerà alla Corte Internazionale di Giustizia”.
E quindi?
I palestinesi vogliono trovare una soluzione al blocco da parte dei molti governi che si sono succeduti al potere in Israele, dopo i colloqui di Annapolis del 2007. Di fronte al muro contro muro opposto in particolar modo dal governo Netanyahu, i palestinesi stanno ora cercando di capire se un secondo passo come quello della Corte Internazionale di Giustizia può riuscire a creare la pressione necessaria per convincere Israele.
(Pietro Vernizzi)