Per l’America Latina la data del prossimo 23 marzo sarà storica: verrà infatti firmata all’Avana la pace tra il Governo colombiano e le Farc (le Forze armate rivoluzionarie colombiane), che porrà fine a oltre 70 anni di guerra. Ne parliamo con Luis Maira, ex Ambasciatore cileno e plenipotenziario delegato dalla Presidente Bachelet a rappresentare il Paese ai tavoli delle trattative in qualità di osservatore.
Come si sta sviluppando questo storico accordo?
Il luogo delle trattative è l’Avana e vi partecipano rappresentanti del Governo colombiano e delle Farc, oltre a quelli di due Paesi come Cuba e Norvegia, più altri due come osservatori, Venezuela e Cile, che hanno il compito di vigilare sulla trattativa e ricevere e consultare la corrispondente documentazione. I punti principali affrontati nelle trattative sono stati in primis la situazione agraria e i cambiamenti nel settore rurale, poi la partecipazione politica dei guerriglieri nel Governo a partire della pace, la droga e il suo commercio e quindi la situazione delle vittime del conflitto e la preparazione di un meccanismo di giustizia super partes, punto che è stato il più difficile da affrontare.
Perché?
Perché si potrebbe accusare entrambe le parti di aver commesso delitti che costituiscono una violazione ai diritti umani, violazioni gravi o massive ai diritti umani, stabilite dal Trattato di Roma, e bisogna prevedere la partecipazione della Corte penale dell’Aja nel giudicare questi crimini, partendo dal fatto che non godono né di amnistia, né di prescrizione. Tutto questo è stato deciso in una riunione del 23 settembre 2015, che è stata fondamentale e alla quale hanno partecipato il Presidente Colombiano Juan Manuel Santos, il leader maximo delle Farc Timochenko e, come testimone, Raul Castro: seduta che ha permesso di trovare una via d’uscita al punto più difficile.
In che modo?
In una maniera totalmente nuova rispetto ai processi di pace precedenti si è stabilita una giurisdizione speciale per sentenziare su questi delitti. In altre parole, attraverso la creazione di tribunali ad hoc differenti da quelli normalmente usati in Colombia, che si faranno carico delle sanzioni di tutti i crimini contro l’umanità. Simultaneamente si è stabilito un tempo di sei mesi per concludere questo accordo di pace e questo periodo si conclude il 23 di marzo del 2016. Si sta lavorando alacremente per risolvere i punti ancora aperti, che, come si definisce nel linguaggio in uso nelle Nazioni Unite, si chiamano blanket (parentesi, ndr), ossia cose non affrontate nei dettagli perché altrimenti prolungavano la trattativa. In sostanza, il processo ormai è in uno stato molto avanzato e, anche se ci sono situazioni ancora pendenti, abbiamo raggiunto quello che tecnicamente si definisce il punto di non ritorno, ossia quando le parti procedono nei negoziati senza tornare sui loro passi. Noi tutti partecipanti nutriamo la speranza che si potrà arrivare a una buona conclusione in nome della pace.
L’accordo è indubbiamente storico, ma mi risulta che l’Esercito di liberazione nazionale, l’altro movimento di lotta armata, stia raggiungendo un accordo separato. A questo punto si può dire che, seppur non inclusa questa fazione nelle trattative dell’Avana, la pace sia imminente in Colombia?
Effettivamente in Colombia esistono due grandi organizzazioni, create ambedue nel 1975, che hanno differenze sostanziali e che nacquero a causa dell’impatto che ha avuto nella Regione la Rivoluzione cubana. La pace ovviamente transita attraverso un accordo del Governo colombiano con ambedue le organizzazioni. Attualmente le Farc sono quella maggiore ed è quindi stato più facile iniziare. Però, nel giugno del 2014, attraverso un comunicato, l’Eln si è detto disposto a iniziare un percorso verso l’accordo di pace attraverso una trattativa pubblica. Penso che anche questo processo sia in una fase molto avanzata ed è mia opinione personale che a breve avremo dei risultati positivi.
Su cosa basa questa convinzione?
In questo secondo dialogo che eventualmente inizierà nei prossimi mesi bisogna mettere in conto fatti che renderanno più favorevole un accordo perché, in primo luogo, i punti che si sono raggiunti con le Farc predispongono a un buon risultato anche in forma accelerata. Poi c’è da considerare l’impatto che nell’opinione pubblica ha prodotto il negoziato, fatto che costituisce un elemento di pressione della società colombiana nei riguardi del secondo grande gruppo armato che è l’Eln. Infine, nelle conversazioni che si sono portate avanti preliminarmente si sono trattati altri punti complementari sui quali c’è stato un accordo, cosa che mi fa pensare che in questa seconda trattativa si procederà più celermente.
Quali benefici potrà fornire al Continente latinoamericano questo accordo?
Io farei due considerazioni. In primo luogo, l’impatto interno che si vedrà in Colombia, con la fine di un conflitto che dura ormai da 50 anni dalla fondazione delle Farc e dell’Eln, con molti autori di un altro: la guerra civile che si produsse nell’aprile del 1948 con l’assassinio del grande leader popolare Jorge Eliécer Gaitán e che nei sette anni seguenti provocò 250.000 morti in combattimenti, risolta con un patto tra le due forze politiche del Paese, Liberali e Conservatori. Credo che la Colombia abbia una lunga tradizione di violenze interne e superare questa situazione, anche nei calcoli degli economisti e delle persone che si occupano di statistiche nel Paese, non potrà far altro che avere un impatto positivo.
Di quale entità?
Già si segnala un innalzamento del Pil dell’1,2% e il controllo delle organizzazioni guerrigliere produrrà uno sviluppo importante per la Colombia, il clima di pace amplierà la forza delle istituzioni e ridurrà gli enormi costi della guerra. Come molti analisti hanno detto, ciò porterà alla nascita di una nuova Colombia. Ma sicuramente l’impatto risulterebbe estremamente positivo in tutta l’America Latina, dove si sono compiuti passi da gigante per il raggiungimento della pace e del disarmo nel territorio dei venti paesi che la compongono. Lei sicuramente ricorderà che fin dal 1969 si è firmato in Messico, a Tlatelolco, un accordo sulla denuclearizzazione, che è stato rispettato rigorosamente anche attraverso una segreteria di controllo permanente, cui dobbiamo sommare la fine dei conflitti civili perché, con la risoluzione colombiana, l’America Latina non avrà più nessun conflitto armato, come hanno programmato i suoi governanti prospettando il Continente come una zona di pace, requisito indispensabile per un processo di integrazione e cooperazione regionale.
(Arturo Illia)