Le forze armate siriane si stanno ritirando dalla città di Dayr az Zor, ai confini con l’Iraq, dove erano entrate lo scorso 8 agosto. Anche qui le forze fedeli al presidente Assad hanno portato a termine la repressione dei contestatori del regime e si stanno posizionando intorno al centro abitato per continuare a tenere sotto controllo ogni tentativo di protesta. Secondo le fonti vdi regime, la città è stata pacificata dopo che è terminata la caccia a gruppi armati che terrorizzavano la popolazione. Ovviamente si è trattato di repressione armata contro la popolazione. Intanto continua il drammatico assedio della città di Lakatia, città costiera che si erge in riva al Mediterraneo. Sono diversi giorni che le forze armate di Assad bombardano la popolazione, costringendo all’esodo migliaia di cittadini in gran parte palestinesi. Diversi di essi sono morti sotto alle bombe, tra cui donne e bambini. Divieto assoluto per le organizzazioni umanitarie di entrare nella città. Attacchi militari anche nella città di Simakayeh al confine settentrionale con la Turchia e il Libano. “Migliaia di profughi palestinesi sono fuggiti dal campo, che ne ospita 10.000: la metà sono andati via”, ha detto un rappresentante dell”Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi. Il presidente turco al proposito ha lanciato un deciso ultimatum al regime siriano perché cessi i suoi attacchi contro le popolazioni civili. In particolare è intervenuto il ministro degli esteri Ahmet Davutoglu: “Se le operazioni non finiranno non ci sarà null’altro da dire in merito alle misure che potrebbero essere intraprese” ha detto al suo collega siriano. La proposta turca è quella di creare una zona cuscinetto al confine con la Siria per accogliere i profughi che fuggono dalla Siria. Sembra però che la proposta non abbia più motivo di esistere in quanto i profughi verso la Turchia negli ultimi giorni sono calati, passando da circa diecimila a settemila. Al momento sembra che il regime siriano voglia continuare la sua azione repressiva senza prendere in consderazione alcun dialogo con i manifestanti che inovcano la fine del regime dittatoriale.