Da domani il Sudan potrebbe non esistere più come stato unitario, ma intanto nel sud del paese continua la striscia di violenza che ha causato milioni di morti negli ultimi vent’anni. Nove le vittime di oggi, cadute in scontri tra l’Esercito popolare di liberazione (le forze armate semi-ufficiali del sud) e uomini armati forse appartenenti ad un’altra milizia sudista.
Il referendum per l’«autodeterminazione» del sud è il tentativo di porre fine ad una guerra civile che dura da decenni. Il sud, a maggioranza cristiana e animista, chiede la separazione dal nord musulmano. Il risultato del voto verrà reso pubblico all’inizio di febbraio. In caso di vittoria dei separatisti, l’indipendenza avrebbe effetto a partire dal mese di luglio prossimo.
Secondo gli analisti è scontata la vittoria del sì alla separazione, ma intanto voci autorevoli chiedono di evitare ogni trionfalismo.
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Monsignor Macram Max Gassis, vescovo di El Obeid, ha avvisato: «Passata l’euforia dell’indipendenza si dovranno poi fare i conti con la dura realtà delle migliaia e migliaia di sud sudanesi che sono rientrati nel sud e che non hanno nulla. Non vi sono scuole né ospedali, né case e manca persino l’acqua potabile. Il movimento di rientro è già iniziato da tempo. Queste persone vengono scaricate dai camion in mezzo al nulla. Non hanno nemmeno un giaciglio decente per dormire. Vi è solo un punto di distribuzione dell’acqua, mancano reti antizanzare, cibo e medicinali. Se si pensa che nella sola area di Khartoum, la capitale dell’attuale Sudan unitario, vi sono circa 4 milioni di sud sudanesi che potrebbero rientrare nel meridione, si comprende che siamo di fronte a una potenziale tragedia umanitaria».
Intanto l’opinione pubblica internazionale si è mobilitata in modo massiccio in favore del paese. Sono oggi nel sud del Sudan attori come George Clooney e politici come John Kerry, che ha incontrato il leader sudista Salva Kiir.