Tre jet decollati dalla Libia in mattinata avevano fatto pensare ad una fuga di Gheddafi, ipotesi avallata anche da Al-Jazeera. Si è poi saputo che si trattava di missioni diplomatiche, dirette a Bruxelles e in Portogallo. Ieri era sembrato che gli aerei libici avessero fatto scalo in Italia, ma la Farnesina ha smentito. Nel frattempo la Nato, col supporto degli Usa, cerca una soluzione, che per ora contempla una no-flight zone da far rispettare con il coinvolgimento della Lega araba. Nella giornata di ieri si è riunito il nostro Consiglio supremo di difesa, presieduto dal Capo dello Stato, al termine del quale l’Italia ha riconfermato la volontà di intraprendere quanto verrà deciso in sede europea e di Alleanza atlantica. Nel frattempo – dice a ilsussidiario.net Carlo Jean, esperto di strategia militare – Gheddafi si mostra in grado di contrastare gli insorti.
Nella giornata di ieri aerei libici del colonnello Gheddafi hanno trasportato uomini importanti del regime al Cairo e in Europa. Qual è la sua valutazione di quanto sta accadendo nelle ultime ore?
Non possiamo sapere con certezza il contenuto di quelle missioni, anche se è facile immaginarlo. Il raìs tiene in piedi i suoi contatti. Fa politica, cerca di creare spazi di manovra. La cosa importante da rilevare è che i fatti smentiscono una fuga di Gheddafi, com’era sembrato in un primo tempo. Niente di tutto questo. Molto verosimilmente la missione ha fatto il giro del Mediterraneo per non rischiare intercettazioni o incidenti.
L’altro ieri l’ex ministro della Giustizia Mustafa Abdel Jalil ha dato a Gheddafi un ultimatum di 72 ore per lasciare la Libia senza ritorsioni. Un passo falso che ha costretto gli insorti a smentire tutto. Cosa sta succedendo nel fronte dell’opposizione al regime?
Il primo elemento è che gli insorti sono divisi e per questo rischiano di non fare molta strada. È stato un grave errore, perché un ultimatum lo si può dare solo da posizioni di forza; se dato da posizioni di debolezza, è la conferma che non ci sono dubbi. E infatti gli insorti stanno subendo rovesci sia a ovest di Tripoli, sia nella Sirte.
Gheddafi quindi si sta rafforzando?
A mio avviso ha la superiorità e molto verosimilmente si riprenderà la Cirenaica. Dal punto di vista delle operazioni, il problema fondamentale non è tanto il controllo dello spazio aereo, quelle sono fantasie accarezzate dai ministeri degli Esteri, ma le truppe a terra. E l’esito finale dipenderà, come sempre in Libia, dall’allineamento delle tribù.
Il realismo politico cosa chiede di fare, in questa fase, alla coalizione internazionale e secondariamente all’Italia?
Più si tace, meglio è. Abbiamo parlato fin troppo. È comprensibile, lo si fa per influenzare lo scenario. Ma non ci sono grandi possibilità di intervento. Un’ipotesi teorica è quella di un’operazione tipo Afghanistan, cioè con truppe speciali a terra che guidano gli aerei su obiettivi terrestri. Ma così facendo avremmo deciso di far vincere gli insorti: sarebbe una decisione politica che dovremmo prendere tutti assieme e sicuramente non sarebbe avallata dall’Onu. Ora, se questa decisione non c’è, parlare di no-flight zone o di non concessione di basi aeree è senza senso.
Il nostro paese ha un margine di intervento autonomo?
No. L’unico intervento italiano possibile è quello che molto pragmaticamente ha già fatto Paolo Scaroni quando ha detto che continueremo a mantenere in funzione i nostri pozzi e a fare il nostro lavoro, senza curarci troppo di quello che succede intorno e senza correr dietro alle fantasie.
Come giudica la politica americana in questa fase?
Gli americani prendono atto del fatto che il loro potere è abbastanza limitato. D’altra parte in una guerra civile il potere esterno è sempre limitato, perché qualsiasi intervento provoca reazioni di carattere nazionalista e rafforza chi ha il potere.
Lei sarebbe favorevole ad un intervento Nato?
Sbarcare una forza? Il rischio è che prima ancora di riuscire a prepararlo come si dovrebbe, i giochi in Libia potrebbero essere già conclusi. Soprattutto, l’idea di una no-flight zone è accarezzata da persone che hanno poca idea di che cosa sia. C’era una no-flight zone anche sulla ex Jugoslavia ma non ha impedito il massacro di Sbrebrenica. Purtroppo le guerre civili non so combattono con aerei ed elicotteri, ma con le truppe terrestri. Nel caso particolare, alla luce di quello che si sta verificando, Gheddafi ha ancora un grossa quantità di forza.
E da cosa dipende l’esito del conflitto?
Come ho già ricordato, dagli accordi che esistono fra le tribù. In Libia ci sono 140 tribù, anche se solo una trentina hanno una rilevanza politica molto forte. Tutto dipende da cosa decide chi comanda le tribù, se allinearsi o no con Gheddafi. L’esito della crisi non dipenderà mai né dalle sanzioni né dalle minacce, e gli altri fattori che si vogliono risolutivi sono evocati solo ad uso delle opinioni pubbliche dei paesi occidentali
È da escludere un ruolo costruttivo di soggetti come la Lega araba o l’Unione africana?
I governi che lottano per il potere e sono depositari delle scelte politiche difficilmente seguono i dettami delle organizzazioni internazionali, soprattutto quando queste non hanno la forza sufficiente per poter intervenire. Poi teniamo conto del fatto che fino a poco tempo fa Gheddafi era a capo dell’Unione africana, ed era stato eletto anche grazie a grandi elargizioni di denaro fatte a paesi dell’Africa subsahariana. Questi paesi, senza essere troppo legati a Gheddafi, lo sostengono anche militarmente.
Par di capire che nonostante quel che si legge sui giornali Gheddafi sia ancora forte e molto.
Sì. Per intenderci Ras Lanuf, nella Sirte, a 800 chilometri di deserto da Tripoli, è stata attaccata dai “lealisti” con i carri armati, che per portarsi in zona hanno dovuto percorrere centinaia di chilometri nel deserto. Ma questo è impossibile senza un preciso supporto logistico e tecnico. Ras Lanuf ad est e Zawiya ad ovest, dove ancora si combatte e pare che la città non sia ancora stata completamente riconquistata, dimostrano che la capacità di combattimento di Gheddafi non solo difensiva ma anche offensiva e ben al di fuori di Tripoli.
Una sua personale previsione?
La comunità internazionale, dopo aver parlato molto, non farà niente. Si accorgerà che la situazione sul terreno è cambiata, fino al punto di fare da spettatrice, al massimo, ad una frammentazione della Libia.