Cinquantuno morti negli scontri tra i sostenitori dei Fratelli musulmani e le forze dell’ordine hanno insanguinato l’Egitto a tre mesi dalla caduta del presidente Morsi. L’anniversario della guerra del 1973 contro Israele è stato trasformato dai partiti islamisti nell’ennesima occasione per creare caos e disordini. L’Esercito ha risposto come sempre con la mano pesante, sparando contro i manifestanti alcuni dei quali erano a loro volta armati. Per il professor Wael Farouq, “i Fratelli musulmani ancora una volta dimostrano di essere pronti a tutto pur di finire nei titoli dei telegiornali e dare al mondo l’impressione che l’Egitto sia fuori controllo. Nella realtà non è così, ma le divisioni tra i giovani rivoluzionari che vogliono uno Stato laico e moderno rischiano di portarli a una nuova sconfitta alle elezioni presidenziali della prossima primavera”.
Professor Farouq, perché a oltre tre mesi dalla caduta di Morsi l’Egitto è ancora nel caos?
Sono i Fratelli musulmani a volere dimostrare che l’Egitto è nel caos, ma nella realtà non è così. L’economia è in ripresa e la quotazione della lira egiziana ha smesso di scendere rispetto al dollaro. Mentre dal punto di vista politico sono stati compiuti numerosi passi avanti nella road map proposta originariamente dal comitato rivoluzionario del Tamarod, a partire dalla convocazione dell’assemblea che dovrà preparare la nuova Costituzione.
Come si spiega allora i 51 morti di domenica?
I Fratelli musulmani stanno facendo di tutto pur di fare notizia. Di tanto in tanto alcune decine di migliaia dei loro sostenitori organizzano manifestazioni, e ciò porta alle violenze cui abbiamo assistito. Gli scontri in gran parte non avvengono con le forze del’ordine, bensì tra i Fratelli musulmani e i comuni cittadini.
Perché le manifestazioni degli islamisti sono sempre così violente?
Quando Morsi era ancora in carica, ha ordinato la scarcerazione e l’amnistia per alcune migliaia di terroristi. Ciò cui stiamo assistendo ora in Egitto è la conseguenza di quella scelta. I giovani rivoluzionari stanno con le forze dell’ordine, perché hanno visto quanto violenti e brutali siano i Fratelli musulmani. La situazione non si è ancora risolta del tutto, ma ogni giorno è migliore di quello precedente.
Quali saranno le conseguenze di questo nuovo bagno di sangue?
I Fratelli musulmani sanno bene che le loro manifestazioni non cambieranno nulla, e che nella prossima primavera si terranno nuove elezioni garantite dagli osservatori della comunità internazionale. Gli islamisti stavolta non vinceranno, perché nella società civile oggi c’è molto odio nei loro confronti. L’unica cosa che possono fare è cercare di stare il più possibile sotto i riflettori delle tv, e ovviamente il modo più semplice per ottenere questo risultato è fomentare dei disordini.
Che cosa ne pensa del modo in cui l’Esercito sta gestendo la transizione?
Ora l’Esercito ha una nuova leadership, ma il comportamento dei militari non è molto diverso da quello adottato nel 2012 quando il governo era in mano al Consiglio Nazionale delle Forze Armate. L’unica differenza rispetto ad allora è che oggi godono del sostegno della maggior parte della popolazione.
In che senso?
Nel gennaio 2012 l’Esercito usò la violenza contro i manifestanti, e la reazione della gente non si fece attendere riempiendo tutte le piazze del Paese in segno di protesta. Anche oggi l’Esercito continua a rispondere alla violenza con la violenza, eppure una parte molto ampia della società accoglie positivamente tutte le azioni dei militari. E il motivo è che il modo in cui i Fratelli musulmani hanno governato ha reso l’opinione pubblica molto ostile nei loro confronti.
I giovani rivoluzionari riusciranno a organizzarsi politicamente in vista delle elezioni di primavera?
In queste settimane stanno lavorando alla fondazione di un nuovo partito politico, ma il problema è la mancanza di una leadership liberale in grado di guidare il movimento rivoluzionario. Quest’ultimo è ancora diviso, e i problemi cui si era trovato di fronte dopo la cacciata di Mubarak si stanno ripetendo. Manca una figura in grado di unire tutte le forze laiche e liberali, e ciò fa sì che l’ipotesi di un candidato dell’Esercito in grado di diventare il nuovo presidente diventi ogni giorno più probabile.
(Pietro Vernizzi)