Souad Sbai, marocchina, musulmana moderata, presidente dell’associazione Acmid, ha ricevuto una fatwa, cioè una condanna a morte, dopo il discorso pronunciato alla manifestazione della Lega in piazza Duomo a Milano, sabato scorso. E’ lei stessa a dirci come sono andate le cose. E non rinuncia a tenere la guardia alta: “non penso a leggi speciali ma ad una rinnovata mentalità dell’inclusione, ma anche dell’esclusione”.
Vuole brevemente ricostruire il caso che ha portato alla fatwa di morte che la riguarda?
La questione è molto semplice. Ho partecipato alla manifestazione della Lega Nord a Piazza Duomo a Milano e sono intervenuta. Nei giorni successivi la cosa ha avuto un’eco mediatica importante e anche in Marocco sono stati scritti dei pezzi. Uno in particolare ha attirato la mia attenzione, quello su Hibapress in cui figurava un video girato da un cellulare e messo su Youtube, sottotitolato e tradotto in maniera distorta.
Distorta in che modo?
Per fare un esempio, al posto di moschee fai da te si lasciava solo moschee, o al posto di velo integrale solo la parola velo. Fra i commenti ce n’era uno particolarmente acceso che giustificava la mia uccisione perché “nemica di Allah e del Profeta”.
Hibapress.com è un sito di informazione marocchino; il Marocco sembrava estraneo alle derive più estremiste, dunque non è più così?
Il Marocco è un paese che ha già subito le conseguenze dell’essere contro l’estremismo, basta pensare agli attentati di Casablanca nel 2006 che però non hanno scalfito il percorso delle riforme, che oggi vanno avanti. È un Paese che lotta costantemente contro il terrorismo e un singolo sito internet o giornale non fa certo tendenza su questo. La libertà che le donne hanno lì, quelle che immigrano in Italia nemmeno sanno cosa sia. Qui le comunità islamiche non hanno mai fatto il passo verso l’autodeterminazione delle donne, che sono come “sospese” nel nulla.
Lei ha condannato l’uso del velo integrale e le moschee fai da te. Con queste ultime a che cosa si riferisce esattamente?
Per moschee “fai da te” intendo quei falsi centri di culto illegali magari nascosti in un garage e nei quali si professa tutt’altro rispetto alla vera dottrina islamica, con imam altrettanto fai da te. E che andrebbero chiusi all’istante, perché pericolosissimi. Per “velo integrale” intendo con tutta evidenza il niqab, la tunica nera che lascia intravvedere solo gli occhi e che per qualcuno qui in Italia sarebbe segno di libertà religiosa, mentre in realtà è solo un vessillo di sopraffazione delle donne. E di occupazione territoriale estremista di stampo salafita.
Il commento anonimo che citava la fatwa non potrebbe essere solo il messaggio di un esaltato? Che cosa le fa pensare che si tratti di una cosa seria?
Vede, non posso essere io a stabilire se la minaccia di quel commento sia reale o meno, se sia un pericolo o meno. A questo pensano le forze dell’ordine e l’autorità giudiziaria, a cui mi sono prontamente rivolta e alle quali sempre mi rivolgo anche per sintomi che spesso appaiono poco credibili ma nascondono pericoli veri. Mi chiedo anche perché la minaccia di morte arrivi ora…
E che risposta si dà?
Guarda caso l’accaduto arriva proprio mentre ero in Cassazione per l’ultima udienza del processo sulla morte di Shaznaz Begum e il pestaggio di Nosheen Butt. Ogni segnale di possibile innalzamento della tensione va sempre e comunque denunciato. E io non sono mai stata smentita perché so bene di quel che parlo, conoscendo a fondo le due culture. Anzi, ho sempre ricevuto piena condivisione degli intellettuali arabi liberali e moderni.
Da chi viene in questo momento il pericolo maggiore per un paese come l’Italia? dagli immigrati, dai convertiti, da cellule dormienti? da chi o da che cos’altro?
Il pericolo maggiore viene dal buonismo e dal relativismo, che permettono a tutti di fare tutto, di spacciare una vessazione per libertà e di predicare qualcosa che nulla ha a che vedere con l’islam vero e moderno, bensì solo con l’integralismo. Un paese non si colpisce solo facendo un attentato, ma anche minando le radici della sua società, rendendole deboli e facili da sradicare. Questo è il pericolo maggiore. Una società che conosce la differenza fra il bene e il male non teme nessuno.
Secondo lei, in un momento come questo in cui singoli islamisti impugnano le armi per compiere stragi, come è avvenuto in Canada, servirebbero delle leggi speciali?
Non penso a leggi speciali, penso ad una rinnovata mentalità dell’inclusione, ma anche dell’esclusione. Occorre distinguere accuratamente, proprio in virtù di ciò che ci dicevamo prima, fra chi viene qui o sta qui per vivere serenamente e chi utilizza il nostro paese come base logistica e di addestramento e reclutamento di jihadisti. E questo lo si fa solo con una politica più attenta alla sicurezza e meno al calpestare fantomatici diritti che in realtà nascondono solo volontà di conquista.
Ha paura?
Non ho paura, ma mantengo la guardia alta. È molto semplice, e altrettanto pericoloso, pensare che dietro alle parole si celino solo dei pazzi o dei semplici esaltati. Perché l’estremismo parla spesso per simboli ed è capace di condannare a morte una persona solo con una impercettibile parola in un testo, o con l’immagine di un fucile accostato alla faccia di qualcuno, come è accaduto a me. Non sono una tuttologa né una docente di islamistica, ma conosco bene i due contesti, quello occidentale e quello arabo, e seguo lo svolgersi degli eventi, che danno bene il segno di come il panorama storico stia rapidamente cambiando.
Continuerà a a fare quello che ha fatto fino ad ora?
Certamente. Io non ho mai smesso di pensare né di scrivere in tutta libertà, nonostante abbiano tentato più volte di zittirmi, e questo è il segreto per vincere la sfida contro l’estremismo. Inseguire e difendere la libertà, costi quel che costi.
(Federico Ferraù)