«Non si può negare che in Egitto tra musulmani e cristiani esista un problema profondo e di difficile soluzione. Molti di loro vivono con la convinzione di appartenere a uno Stato nello Stato, e pensano che questo li esima dal rispettare le leggi. Ma risolvere queste tensioni partendo dalla realtà è possibile, e proprio per questo stiamo organizzando un grande incontro cui parteciperanno sia i salafiti sia i cristiani provenienti dalle aree del Paese con le maggiori difficoltà di convivenza, per permettere loro di conoscersi senza pregiudizi». A rivelarlo è Hossam Mikawy, presidente del Tribunale di Cairo Sud, dopo i disordini nell’area di Imbaba che hanno portato alla morte di una decina di persone e alla distruzione di alcune chiese.
Giudice Mikawy, quanto avvenuto a Imbaba è un fatto isolato o il segno di una tensione crescente?
In Egitto esistono delle difficoltà profonde tra musulmani e cristiani, soprattutto nelle aree più povere del Paese . Dobbiamo ammetterlo, se vogliamo cercare delle soluzioni realistiche e non accontentarci di stringerci la mano in tv. Gli estremisti e quanti non accettano gli altri sono numerosi.
Qual è l’origine di questo problema ?
Il caso di Kamilia Shehata, la donna che secondo voci non verificabili si sarebbe convertita all’Islam e sarebbe stata nascosta in una chiesa, è emblematico. Sabato centinaia di salafiti hanno assaltato il luogo di culto per cercare la donna al suo interno, senza aspettare un mandato di perquisizione della Procura. Nella chiesa non c’era nessuna donna convertita, ma un’arma da fuoco illegale che i cristiani hanno usato per difendersi. Tutto questo aveva avuto un antefatto significativo. Il procuratore generale aveva chiesto alla Chiesa ortodossa se la donna si trovasse nella basilica, ma le autorità religiose si erano rifiutate di rispondere.
E quindi?
E quindi entrambi, sia i salafiti sia la Chiesa ortodossa, non hanno rispettato la legge. Tutti invece sono tenuti a farlo, a prescindere dalla loro religione. Non abbiamo bisogno di uno Stato nello Stato, che si concepisce come un’entità indipendente all’interno dell’Egitto: e questo vale sia per i salafiti sia per la Chiesa ortodossa.
Il tema delle conversioni finisce facilmente per infiammare gli animi…
A noi, come egiziani e come musulmani, non importa se una persona desidera cambiare religione. Ma non tolleriamo che nessuno distrugga una nazione come l’Egitto per motivi confessionali, perché questo significa giocare con la religione. In quanto magistrato, devo aggiungere una cosa. Lunedì l’esercito, su ordine del procuratore generale, ha arrestato un imprenditore cristiano, Adel Labib, che lavorava per il passato regime ed era un membro del Partito nazionale democratico di Mubarak. Labib avrebbe pagato delle grosse somme di denaro ad alcune persone dell’area di Imbaba affinché diffondessero le indiscrezioni sulla donna convertita e iniziassero gli scontri.
Quanto è cresciuta la forza politica dei salafiti dopo la caduta di Mubarak?
I salafiti sono frammentati in tanti piccoli gruppi molto divisi tra loro, ciascuno dei quali ha un leader e uno statuto diverso. Nella maggior parte dei casi si tratta di gruppi religiosi e non schierati politicamente. Ma alcuni di loro ora sentono il bisogno di occuparsi di politica, e noi ci opponiamo strenuamente a che ciò avvenga. Martedì ho partecipato a un faccia a faccia su Al Jazeera insieme al vicepresidente dei Fratelli musulmani. Gli ho detto che tutti gli egiziani devono trovare una soluzione per proteggere la laicità dello Stato ed evitare di diventare un Paese confessionale. E’ questo il motivo per cui stiamo pensando di introdurre un articolo nella Costituzione in cui si afferma che nessun partito può essere creato su basi religiose. Dando alla Corte suprema il diritto di cancellare qualsiasi lista che utilizzi la religione nel confronto politico. E lo stesso varrà per chi parla di politica nelle moschee. In Egitto non abbiamo bisogno di mescolare politica e religione, ma di dividerle.
I magistrati egiziani possono farsi garanti della transizione verso la democrazia?
Nell’attuale situazione, anche noi giudici stiamo affrontando diverse difficoltà. I tribunali non sono più difesi dalle forze dell’ordine, e quindi quando emetto una sentenza di condanna nei confronti di un omicida, la sua famiglia può vendicarsi in qualsiasi modo contro di me. Ma come giudici stiamo rivendicando che abbiamo bisogno di un nuovo Egitto, con più libertà, democrazia e rispetto della legge. E insieme ai miei colleghi, abbiamo creato un gruppo di lavoro per cambiare la mentalità all’interno della stessa magistratura, perché non tutti i suoi componenti in Egitto hanno ancora un modo di pensare aperto. Proprio per questo tutti hanno bisogno di un confronto libero, per trovare nuove soluzioni.
Che tipo di soluzioni?
Stiamo progettando di organizzare un’enorme conferenza, sul modello italiano del Meeting di Rimini, invitando il maggior numero di salafiti e di cristiani, soprattutto dalle città nel sud e nel nord dell’Egitto dove ci sono le maggiori tensioni religiose. Per insegnare loro ad accettarsi a vicenda in modo realistico, perché quando le persone si incontrano molti stereotipi finiscono per cadere.
E lei crede che i salafiti accetteranno l’invito?
I salafiti hanno sofferto per 30 anni sotto il passato regime, che usando le leggi d’emergenza ha messo in carcere moltissimi di loro senza nessuna accusa, spesso prelevandoli dalle moschee dove si erano recati solo per pregare. Oggi quindi si sentono come delle vittime, ed è per questo che commettono delle violenze, non solo contro i cristiani ma contro l’intera società, perché il carcere ne ha plasmato il modo di pensare. In questo senso, è Mubarak ad avere creato i salafiti.
Ma è possibile dialogare con i salafiti?
Il nuovo Egitto deve accettare chiunque, anche le persone con idee estreme come loro. Finché non violeranno la legge, non li metteremo in carcere per le loro idee. Quando oggi manifestano, i salafiti vogliono lanciare un messaggio: «Ci siamo anche noi». Dopo avere sofferto per così tanti anni, senza che nessuno cercasse di difenderli, cercano quindi una nuova visibilità. Il tempo, una maggiore libertà e più democrazia saranno il modo con cui risolveremo le tensioni provocate da loro. D’altra parte il governo, la polizia e l’esercito devono avere una mano molto forte nei confronti di chiunque protesta di fronte a una moschea o una chiesa. Queste persone vanno incarcerate senza esitazioni.
Quali segnali positivi vede nel nuovo Egitto?
Dopo la rivoluzione, il dibattito politico è estremamente vivo e in tanti desiderano essere informati sul significato di parole come liberale, moderato, laico, destra, sinistra. Le persone si interessano al dibattito civile 24 ore su 24. Al punto che ormai si dimenticano persino di guardare le partite di calcio, e le assicuro che in Egitto siamo appassionati di calcio almeno quanto in Italia. E questo dopo 30 anni di totale assenza della politica, è meraviglioso.
(Pietro Vernizzi)