“Il piano degli Stati Uniti è lanciare la grande offensiva di Mosul entro fine ottobre-inizio novembre, in modo da sfruttare al massimo le condizioni climatiche più favorevoli prima della stagione delle tempeste di sabbia di metà aprile. Le tensioni all’interno dello schieramento rischiano però di ritardare ancora una volta l’attacco”. A rivelarlo è Gian Micalessin, inviato di guerra de Il Giornale, dopo il caso scoppiato in seguito al voto del parlamento turco che ha deciso di prolungare la missione delle sue truppe nell’area di Mosul. In tutta risposta il governo irakeno ha ritirato il suo ambasciatore ad Ankara, cui la Turchia ha risposto con un’analoga mossa.
Da dove nascono queste nuove tensioni tra Iraq e Turchia?
Sono chiaramente legate all’imminente offensiva su Mosul che le nazioni occidentali, con l’appoggio dell’Iraq, stanno preparando. La Turchia vuole mettere lo zampino anche su quel che succede nel Nord Iraq. Non dimentichiamoci che negli anni la Turchia ha importato dal Nord Iraq gran parte del petrolio, stabilendo rapporti non molto limpidi con lo Stato Islamico. Erdogan inoltre ha operato come padrino delle minoranze turcomanne che operano nel Nord Iraq. Anche in questo caso, come in Siria, la Turchia ritiene di avere degli interessi nazionali da difendere.
A che punto è l’offensiva su Mosul e chi sta prendendo in mano la situazione?
La situazione è ancora confusa. Gli americani stanno continuando a mandare uomini, che sono sicuramente di più di quelli dichiarati ufficialmente. L’obiettivo è lanciare l’inizio dell’offensiva entro la fine di ottobre o i primi di novembre. Quella che inizierà è considerata un’offensiva di lunga durata che richiederà alcuni mesi, e la si vuole mettere in atto prima della stagione delle tempeste di sabbia che inizia a metà aprile.
Oltre a quelle Usa, quali altre truppe prenderanno parte all’offfensiva?
E’ questo il vero problema. In tutto ciò si inserisce il difficile rapporto con la Russia di Vladimir Putin, che ha una presenza importante anche in Iraq, soprattutto perché entrambi i Paesi sono alleati dell’Iran. Teheran ha un ruolo di peso nella politica interna dell’Iraq e controlla tutte le milizie sciite che devono necessariamente partecipare all’offensiva. Quest’ultima non può essere lasciata solamente nelle mani dei curdi, perché ovviamente il governo irakeno non lo permetterebbe. In questo difficile puzzle l’offensiva rischia di essere ulteriormente ritardata.
Gli Usa hanno proposto di creare un’enclave cristiana nella piana di Ninive, ma monsignor Louis Sako si è detto contrario. Lei che cosa ne pensa?
Un’enclave cristiana è un’arma a doppio taglio, perché qualificherebbe i cristiani come un’entità separata rispetto alle altre componenti irakeni. I cristiani invece si sono sempre considerati come la comunità capace di ricomporre le differenze tra le altre religioni ed etnie. Di fatto quindi ciò non è visto di buon occhio neppure dagli stessi cristiani. Senza poi neppure sottovalutare il fatto che in questo modo i cristiani diventerebbero un facile bersaglio da parte sia dell’Isis sia degli stessi curdi, che vedrebbero la loro presenza come un rischio per il controllo delle proprie aree.
Nel quadrante siriano intanto i russi e Assad hanno deciso di andare all’assalto di Aleppo, facendo saltare i nervi di Obama. Lei come legge questa scelta strategica?
L’accordo tra Lavrov e Kerry raggiunto a Ginevra il 9 settembre aveva sollevato l’avversità e la contrarietà di vasti settori americani, e soprattutto dei vertici dell’intelligence. Particolarmente contrario si era rivelato Ash Carter, il segretario alla Difesa, che d’intesa con i capi dell’intelligence aveva fatto capire che cercare un’intesa con Mosca è dannoso per gli interessi americani.
Che cosa stanno facendo gli Stati Uniti in Siria?
Gli Usa si sono concentrati sempre sull’appoggio ai gruppi cosiddetti “moderati”, nelle cui file si nascondono molte formazioni jihadiste sostenute apertamente dalla Turchia e dall’Arabia Saudita. In questo periodo Cia e Pentagono non hanno mosso un dito per separare da Al Nusra i cosiddetti “gruppi moderati” dalle monarchie sunnite. In questo la Russia vede un mancato rispetto degli accordi raggiunti a settembre. A ciò si aggiunge la paralisi di un’amministrazione Usa che è entrata nell’ultima fase di Barack Obama. Il presidente ormai è una’anatra zoppa che non è più in grado di prendere decisioni che potrebbero passare sui libri di storia, rendendo così incisivo l’ultimo termine della sua presidenza.
(Pietro Vernizzi)