Era dal 2009 che gli iraniani non scendevano più in strada per protestare, ma se allora si trattava di motivi squisitamente politici (i presunti brogli elettorali che avrebbero portato alla vittoria alle elezioni del fondamentalista Ahmadinejad), oggi, come ci spiega Michael Herzog, ex generale dell’esercito israeliano e profondo conoscitore del mondo arabo, siamo davanti a motivi prettamente economici. “In Iran c’è una profonda crisi economica che colpisce soprattutto le fasce più giovani. Questa crisi è imputata ai soldi che il regime spende in paesi come la Siria, Gaza, il Libano e lo Yemen”. Una protesta diversa da quella del 2009 anche per la mancanza di una leadership e dunque del tutto spontanea, dice ancora Herzog, cosa che è sia positiva che negativa per i manifestanti. Ecco perché.
La protesta del 2009 nacque per denunciare i brogli elettorali nelle elezioni presidenziali, adesso invece ci troviamo davanti a proteste dovute a motivi economici. E’ davvero così o dietro c’è qualcosa di più?
Le motivazioni economiche dietro alla protesta di questi giorni sono genuine. In Iran c’è forte disoccupazione, inflazione galoppante, molti fattori economici che hanno un impatto negativo sulla gente.
Da dove nasce questa crisi?
Nasce dal fatto che le aspettative degli iraniani dopo gli accordi sul nucleare di maggiori investimenti economici sono andate del tutto disilluse. Inoltre la gente è molto arrabbiata, e glielo sentiamo dire nei loro slogan, per via delle forti spese che il regime fa in paesi esteri come la Siria, Gaza, il Libano, lo Yemen: “Non spendete i nostri soldi all’estero ma qui a casa” dicono.
Non c’è dunque come nel 2009 una richiesta di maggiori libertà e democrazia?
Sicuramente questi elementi finiranno per emergere anche in queste manifestazioni, ma al momento ciò che ha portato in strada le persone è la crisi economica. E non solo a Teheran. La protesta si sta espandendo sempre di più in tutto il paese.
Ci sono stati già molti morti e centinaia di arresti, si parla anche di pena di morte: che previsioni si possono fare?
Al momento è impossibile rispondere. E’ significativo che la protesta vada avanti ormai da giorni senza cessare, anzi aumentando. Questo significa che non si è trattato di un momento di rabbia passeggera, ma di qualcosa di molto concreto e impossibile da prevedere che piega possa prendere. Si possono solo fare delle speculazioni, vedere come reagirà il regime: aumentare la repressioni può significare anche aumentare la protesta.
L’Ayatollah Khamenei ha accusato “i nemici dell’Iran” di fomentare queste manifestazioni. In effetti sembra una strana coincidenza che quanto sta accadendo venga poco tempo dopo gli attacchi verbali di Trump. Che ne pensa?
Non credo davvero ci sia alcuna connessione diretta tra i protestanti e i paesi esteri. Il regime come sempre in questi casi dà la colpa ai “nemici” per negare che quanto sta accadendo sia un’autentica espressione diretta del popolo. La rivolta si sta estendendo a tutto il paese, dozzine di città. Nessun paese straniero può manipolare tanta gente.
Quali concessioni potrebbe fare, realisticamente, il regime per fermare la protesta?
Non è possibile al momento sapere questo tipo di cose. Nel regime temono l’espandersi ulteriore della protesta, potranno usare maggiore repressione, ma sono consapevoli che potrebbero infiammare ulteriormente la situazione. Certo, se è vero che la storia ripete se stessa possiamo attenderci quanto successo nel 2009. C’è un fatto significativo però che gioca un ruolo sia positivo che negativo per i manifestanti.
Quale?
Che questo movimento non abbia una leadership. Non hanno un’organizzazione come avvenne nel 1979, capace di guidare strategicamente la rivolta. Questo è un male dal punto di vista pratico, ma è anche positivo perché il regime non può identificare alcun leader, tagliare cioè la testa al movimento. Questo può essere un vantaggio.
(Paolo Vites)