Argentina e Uruguay sono separate non solo da quello che si potrebbe definire un incidente geografico (il Rio De La Plata) ma anche da una storia costellata da scontri, anche se agli albori dell’indipendenza americana le due nazioni formavano un’unica unità politica, le “province Unite del Rio De La Plata”. Solo che la diplomazia Inglese, nelle sue mire di dominio sull’importantissimo accesso all’Oceano Atlantico, ci mise del suo, consolidando la separazione. Per questo motivo un intellettuale uruguaiano, Alberto Methol Ferrè, amava definirsi come un “argentino della sponda orientale”. Al giorno d’oggi la relazione tra i due Paesi ha toccato il livello più basso che si ricordi: l’inizio del conflitto si deve anni fa all’istallazione in Uruguay di due cartiere industriali situate ai margini orientali del fiume Uruguay che sbocca nel Rio De La Plata (chiamato dai suoi scopritori originariamente “Mare Dolce”) per poi confluire nell’Oceano Atlantico, in un punto di confine tra i due Paesi (la provincia argentina di Entre Rios e l’Uruguay, ndr) .
Lo scontro arrivò ai tribunali internazionali e l’Uruguay vinse la causa. A partire da quel fatto non solo si deteriorarono le relazioni diplomatiche tra Argentina ed Uruguay ma anche quelle umane, tra due popoli storicamente affratellati, mutarono. All’inizio di quest’anno il ministro dell’Industria e dell’Energia uruguaiano, Roberto Kreimermann, ha dichiarato che “il commercio tra i due Paesi non sarà più quello di prima, dato che le sanzioni imposte dall’Argentina non gli permettono di ritornare ai livelli precedenti”. Sempre secondo Kreimermann le industrie tessili, cartarie e alimentare uruguaiane stanno soffrendo le restrizioni commerciali imposte dall’Argentina e come le istituzioni governative di questo paese mantengano bloccati nei loro porti prodotti uruguaiani per un valore di 32 milioni di dollari dal settembre scorso. Per gli argentini l’Uruguay ha sempre rappresentato qualcosa in più di una mera destinazione turistica. Fatto salvo il periodo storico comune dove da ambo le sponde del fiume regnava il terrorismo di Stato dei regimi militari precedenti il ritorno alla democrazia (avvenuto nel 1983 in Argentina e nel 1985 in Uruguay) il Paese situato sulla sponda orientale del fiume ha sempre rappresentato un rifugio per perseguitati politici che si esiliavano dall’Argentina in cerca di libertà e sicurezza.
Con l’attuale situazione Argentina, le numerose restrizioni all’attività privata e l’insicurezza urbana che si è trasformata in un flagello quotidiano hanno fatto si che molti argentini appartenenti alla classe medio-alta cerchino un’aria più respirabile sull’altra sponda del fiume. L’Uruguay di oggi si presenta come uno specchio nel quale essi vedono riflessa la loro immagine come nazione, terribilmente deteriorata. Come fossero protagonisti di una pellicola surrealista si avventurano a attraversare lo specchio per vedere cosa c’è dietro: lo Stato uruguaiano ha concesso la residenza a 1645 argentini, cifra che triplica i 461 dell’anno precedente. La percentuale di argentini nelle residenze concesse è passata dal 19% del 2012 al 27% del 2013.
Prova delle ragioni economiche che li spingono verso l’Uruguay la offre la produzione di grano, tipica attività agricola argentina. La ragione sta nelle restrizioni che il Governo applica in questo settore, cosa che non succede in Uruguay. Secondo quanto pubblicato questa settimana dal giornale La Nacion di Buenos Aires, produttori, esperti, investitori ed operatori argentini del settore sono responsabili indipendentemente o attraverso accordi con loro pari uruguaiani del 40% (o, secondo i periodi, fino al 50%) della produzione del cereale che si coltiva in Uruguay, che dedica alla coltivazione del grano una superficie di 500.000 ettari contro i 3,6 milioni dell’Argentina. Però, a causa dei provvedimenti operati dal governo kirchnerista la superficie coltivata si è ridotta di 2,3 milioni di ettari negli ultimi dieci anni. In Uruguay, secondo fonti provenienti dai due Paesi e citate dal giornale, gli argentini non hanno mai smesso di coltivare grano. A regime dei 450.000 nel periodo 2012/2013 o dei 475.000 attuali, la stima della superficie lavorata o diretta da argentini, che coltivano pure la soja, ammonta a 200.000 ettari.
La presenza argentina nel settore agricolo uruguaiano iniziò successivamente alla gigantesca crisi del 2002 e la loro prima attività si deve alla soja dove lo scorso anno si calcola abbiano generato raccolti nel 60% della superficie dedicata. Il limite imposto dal kirchnerismo sul mercato del grano, per ridurre la competizione tra produttori e esportatori, riducendo le quote destinate all’estero non ha fatto altro che aumentare l’interesse dei coltivatori argentini ad operare in Uruguay. C’è da aggiungere che molti degli attuali nuovi argentini residenti in Uruguay non hanno abbandonato le loro attività nel Paese natale e hanno scelto la nuova residenza o per sviluppare i loro affari o semplicemente come posto dove vivere più sicuri, dove spesso solo il capofamiglia si muove costantemente tra i due Paesi. Un altro esempio di quanto accade tra i due Paesi proviene dal crisi energetica di cui soffre l’Argentina. Tutte le estati da circa dieci anni il sistema energetico argentino non può far fronte alla domanda energetica generata dai periodi di caldo torrido e deve ricorrere all’importazione di energia elettrica.
A gennaio di quest’anno l’energia elettrica proveniente dall’Uruguay si è moltiplicata di quasi 36 volte rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. E in un solo mese (dicembre 2013) è aumentata del 64%: nel gennaio del 2013 l’Argentina ha comprato 2.161 Mwh di energia generata nel Paese vicino, prodotta con macchine idrauliche, quindi la più economica disponibile. In cambio, nel gennaio scorso, l’importazione di elettricità dall’Uruguay ha superato i 77.347 Mwh, quindi quasi il 3500% in più, con l’aggravante questa volta di un prodotto generato da macchine termiche, quindi l’energia più cara.
Recentemente i presidenti Cristina Kirchner e Josè Mujica hanno avuto l’occasione di incontrarsi a Cuba, in occasione della riunione della Comunità degli Stati Latinoamericani e dei Caraibi (Celac) e, anche se non hanno discusso gli argomenti descritti, c’è da sperare che il loro incontro significhi l’inizio di un cammino finalizzato al recupero delle relazioni bilaterali. Oltre alle restrizioni generate dall’Argentina è in agenda la spinosa questione del dragaggio del canale Martin Garcia e dei porti commerciali sul Rio Uruguay. Prima della riunione il presidente uruguaiano aveva affermato che “arriverà un momento in cui dovremo risolvere la questione e se non ci riusciamo i Governi cambiano e i popoli restano. Nessuno, nemmeno Dio, ha la possibilità di separarci dal popolo argentino: saremo sempre insieme. A livello governativo a volte ci incontriamo a volte ci si allontana, però il nostro dovere è di operare ogni possibile sforzo per raggiungere un accordo”.