Quello dei bambini soldato non sembra essere un fenomeno che riguarda solamente l’Africa centrale. I luoghi in cui si scatenano le guerre civili sembrano sempre avere terreno fertile per lo sfruttamento bellico dei più giovani ai quali vengono affidate armi troppo ingombranti per le loro braccia. All’inizio è uno shock, poi col passare del tempo l’apatia divora le emozioni e lascia cicatrici nelle coscienze dei giovani soldati più profonde delle ferite causate alle vittime. Oggi il conflitto più discusso dai media, quello in Siria, è arrivato a far parlare di sé anche per la testimonianza di un ragazzino di tredici anni assoldato da un gruppo di ribelli. In questi giorni il canale televisivo siriano Eretz Zen Channel ha trasmesso l’intervista di Shaaban Abdallah Hamedah di Aleppo, che spiega in che modo gli sono state affidate delle armi e quale era il suo compito all’interno della milizia. “Mia madre è deceduta quando avevo sette anni. Mio padre è disabile, una paralisi alla gamba destra, ora si è risposato e ha avuto due figli. La nostra situazione sta migliorando grazie a Dio, ma comunque non c’è lavoro in questo periodo. Mio zio, Yahya Aziz Aziz, mi aveva chiesto di unirmi alla cellula ‘Padre perdonami’”. Stando alle parole del ragazzo, questo gruppo sarebbe affiliato alla milizia Ahfad Al Rasoul, Nipoti del Profeta, la quale si pensa essere formata da circa 15,000 combattenti e finanziata dal governo del Qatar. Sempre secondo indiscrezioni giornalistiche, il gruppo in questione sarebbe uno dei tredici riconosciuti dalla commissione americana per l’appoggio finanziario al contrasto dell’esercito regolare comandato da Assad. “Ti darò una buona paga – spiega Shaaban riportando le parole dello zio – e una pistola da esibire davanti ai tuoi amici. Sono stato con loro per tre mesi. La prima cosa che mi hanno insegnato è stata come usare un fucile: mettevamo delle bottiglie di vetro in un campo, fissavamo il fucile e poi sparavamo verso l’obiettivo da una distanza di circa 1-1,5 km. Il fucile era lungo circa un metro e mezzo quindi non riuscivo a tenerlo a fatica. L’addestramento è durato un mese, dopodiché mio zio mi ha spostato sul tetto di un palazzo di fronte al ponte Shaar di Aleppo: mi disse che dovevo sparare a qualsiasi persona volesse attraversare quel ponte, civili o soldati che fossero. Dovevo tenere la posizione dalle 7 del mattino fino alle 4 pm, poi arrivava il cambio”. A 13 anni il giovane Shaaban ha già ucciso 32 persone: un bilancio incredibile, e dalla sua voce traspare tutta la sofferenza di un ragazzo cresciuto troppo in fretta e nel modo più duro che poteva immaginare. “La prima persona alla quale ho sparato? Era un uomo che indossava il galayeba e un copricapo arabo. I tre giorni seguenti ho avuto dei problemi a dormire, continuavo a vedere la vittima nel mio letto”. (Mattia Baglioni)