Quella che una volta era solo una sensazione, spesso osteggiata da quegli analisti che tutto sapevano ma niente confessavano, oggi è una cruda ma chiara realtà. Il perverso accordo fra militari ex Mubarak e Fratellanza Musulmana è ciò che resta dell’anelito di libertà di Piazza Tahrir. Il voto, elefantiaco procedimento che risente ancora di un passato nel quale il tempo era necessario per aggiustare risultati non graditi, ha portato e porterà a Febbraio quando sarà concluso, il risultato che era più evidente man mano che si andava avanti. Ma questo, in realtà, è già il passato, perché se da trent’anni ormai i Fratelli Musulmani costruivano nell’ombra questa vittoria a catena nel mondo arabo, è altrettanto vero che stanno tentando di bruciare le tappe per costringere la popolazione, la cui stragrande maggioranza non si sarebbe mai sognata di votarli fino a qualche mese fa, a cedere le armi della protesta e ad adeguarsi forzosamente all’ordine nuovo che essi stessi avevano preannunciato e poi coerentemente messo in atto. Gli scontri in piazza, in cui i moderati tentano di far sentire la propria voce e vengono schiacciati nel sangue assieme a qui pochi giovani che ormai hanno il coraggio di metter fuori la faccia. Quella stessa faccia che aveva colorato le piazze nemmeno un anno fa. La repressione dell’esercito che non molla di un centimetro e usa la “dottrina ex Mubarak” per sedare una rivolta che, come quelle post elettorali in Tunisia, ha il sapore della truffa svelata, dell’inganno smascherato, della coscienza ritrovata. Ma affogata nel sangue di morti e feriti, che, arrivati al 16 dicembre di un anno di scontri e sacrificio umano per la libertà, sono un monito per tutti coloro che abbiano deciso di fare la stessa fine dei bloggers che denunciavano il regime. La scure dei salafiti, posti come spauracchio per la popolazione, ormai è calata su tutta la cultura araba, compreso il premio nobel Najib Mahfouz, che nella sua condanna trascina tutte le speranza di modernità del futuro. E i Fratelli Musulmani in tutto questo? Si dicono scioccati, chiedono un’inchiesta e fanno la faccia impaurita di chi fa finta di non sapere nulla.
Taqiya pura, mi verrebbe da dire, una lingua che sa parlare in due modi di fronte a due facce diverse, lavorando nel buio come i loro predecessori salafiti. E nel frattempo l’Europa è silente, muta di fronte al “sacco del Cairo”, alla devastazione definitiva della coscienza di un popolo, che affonda la sua storia nelle radici del mondo e della civiltà. Ma il cui destino è amaro, buio e soprattutto capace di far tremare chi quel mondo lo conosce. Sconta la mancanza di istituzioni e abitudini parlamentari l’Egitto, sconta non Mubarak ma la sua elité militare che non ha esitato un attimo a schierarsi con la Fratellanza e con il patto con essa stretto dall’Occidente e massacrare il suo popolo. Il maresciallo Hussein Tantawi, in un sussulto di umanità e di sincerità, aveva candidamente ammesso che mai Mubarak dette ordine di sparare sulla folla. Ed è assai facile credergli, visto che già da allora la longa manus dell’estremismo tesseva le trame della rivolta e vi infiltrava elementi che ne facevano degenerare e quindi deviare dal suo iniziale intento. Ne abbiamo parlato su questo giornale qualche tempo fa, sperando che le cose potessero virare almeno verso l’incertezza, che sarebbe stata già una vittoria per i moderati. Ma così non è stato e gli egiziani moderati che possono scappano prima che tutto precipiti, come testimonia Fouad Allam appena tornato da un Cairo irriconoscibile, soprattutto per le donne. Mi torna alla mente l’immagine dei manifesti elettorali salafiti, in cui le donne sono rappresentate con dei fiori: fiori i cui petali cadono e portano con sé la libertà del mondo arabo, colpito al cuore e incapace di rialzarsi dopo anni di torpore. Sconfitto da una volontà superiore, ebbra di potere e di denaro, di presunta superiorità morale e di astuta strategia elettorale. Il Cairo, negli occhi di Najib Mahfouz, mentre scriveva “Autunno egiziano”. Era il 1962.