La Russia ha smentito l’ipotesi attentato a proposito dell’aereo precipitato nel Sinai, affermando che si tratta soltanto di “speculazioni”. Fonti di Usa e Regno Unito hanno invece affermato che il disastro dell’aereo avrebbe potuto essere stato provocato da una bomba. Il Cremlino però ha ribattuto che potrà essere soltanto un’indagine ufficiale a determinare che cosa è avvenuto. Ha aggiunto che “qualsiasi altra spiegazione proposta appare come un’informazione non verificata, o come una qualche sorta di speculazione”. Il Cremlino ha reso noto che gli aerei russi continueranno a volare da e verso Sharm El-Sheikh, nonostante la decisione del Regno Unito di sospendere i voli. Ne abbiamo parlato con Andrea Margelletti, presidente del Centro Studi Internazionali (Ce.Si).
Ritiene possibile che per il volo Metrojet si sia trattato di una bomba?
E’ possibile, ma per condividere questa ipotesi bisogna avere dei dati oggettivi che probabilmente i servizi segreti inglesi e americani hanno e che oggettivamente io non ho e non potrei avere.
Le due ipotesi sono l’incidente oppure la bomba. Il modo in cui si è disintegrato l’aereo è compatibile con un guasto tecnico?
Sì, è compatibile con l’incidente o con un problema strutturale al velivolo, è una cosa che può assolutamente succedere.
La compagnia aerea però ha escluso che le modalità dell’incidente siano compatibili con un’avaria …
Non è ancora stata accertata l’esatta dinamica che ha portato alla caduta del velivolo. Ci sono più voci, alcune si rincorrono, ma sarebbe anche difficile che fosse già stata accertata l’esatta dinamica visto che ci vogliono dei tempi tecnici per la valutazione delle scatole nere e di quant’altro. Bisogna quindi avere l’onestà di aspettare un minimo di tempo. Altrimenti andiamo a rincorrere le ombre.
Potrebbero essere stati utilizzati missili S-125, che tra l’altro erano stati ceduti dalla Russia alla Libia?
Se al momento del disastro l’aereo si trovava all’altitudine che è stata resa nota, non è possibile che siano stati utilizzati dei missili. La ragione è semplice: non esiste nessun gruppo terroristico che abbia in dotazione armi in grado di colpire velivoli a quelle altitudini.
Ritiene che possa essersi trattato di un kamikaze?
Questo non lo sa nessuno. Soltanto le indagini successive potranno valutare se c’è stata un’esplosione, se questa sia stata di tipo accidentale o provocata, e se sia stata provocata da un attentatore suicida o da un pacco nascosto all’interno del velivolo.
Qualora si sia trattato di una bomba, per l’Isis sarebbe un salto di qualità?
L’Isis è quotidianamente in combattimento contro molte nazioni. Non mi sembra che una bomba a bordo di un aereo possa variare minimamente l’atteggiamento nei confronti dell’Isis. Che sia un gruppo pericolosissimo e spietato lo si sapeva prima, lo si sa oggi e lo si saprà anche domani.
Perché gli Stati Uniti insistono sulla pista terroristica?
Per un duplice motivo: potrebbero disporre di informazioni di intelligence che non hanno gli altri, e a ciò si aggiunge anche che hanno un’agenda politica diversa dalla Russia. Gli Usa hanno interesse a focalizzare la più ampia coalizione internazionale contro l’Isis. La Russia invece si sta focalizzando nel colpire anche l’Isis, ma non solo.
Il presidente egiziano Al-Sisi ha insistito sul fatto che sul territorio egiziano la situazione è sotto controllo. E’ davvero così?
Sono felice che il presidente faccia queste valutazioni. Non so però se possano essere “sostanziate” da tutte le realtà mondiali. Prendo felicemente atto delle parole del presidente.
E’ davvero così difficile controllare l’aeroporto di Sharm El-Sheikh?
Gli aeroporti, come le stazioni ferroviarie, sono studiati dagli architetti per essere luoghi di accoglienza e non invece di protezione. Inoltre ci possono essere persone all’interno di un aeroporto che sono state o prezzolate o convinte per motivi religiosi o ideologici in modo da commettere atti criminosi. E questo può avvenire non soltanto a Sharm E-Sheikh, ma anche nel più controllato aeroporto occidentale.
Quanto sono forti i gruppi jihadisti nel Sinai?
Sono realtà consolidate da moltissimi anni, contro le quali l’esercito egiziano si confronta in vere e proprie battaglie con elicotteri, artiglieria, carri armati. I jihadisti hanno inoltre l’essenziale supporto delle tribù beduine della zona, che sono di grande importanza.
Quindi il presidente Sisi sta garantendo qualcosa che in realtà nessun presidente al mondo può garantire?
Il punto è che avere la situazione sotto controllo non vuole dire che esista la sicurezza al 100 per cento. In nessun Paese al mondo esiste la sicurezza al cento per cento, e nessun leader politico può promettere qualcosa che non è in grado di mantenere in alcun modo.
(Pietro Vernizzi)