Il primo ministro turco, Ahmet Davutoglu, ha affermato che sono “tra 60mila e 70mila le persone in fuga da Aleppo e dirette in Turchia”. Dal luglio 2012 ad Aleppo è in corso una violenta battaglia, che alcuni analisti hanno paragonato alla battaglia di Stalingrado sia per la violenza sia per l’importanza strategica della città. Quest’ultima è divisa in tre zone, controllate rispettivamente da governo, curdi e ribelli, mentre la periferia nord-ovest è nelle mani dell’Isis. Il governo di Damasco, supportato da Iran e Russia, ha lanciato da poco due nuove offensive: la prima è iniziata il 16 novembre e punta a riconquistare l’area Est della città; la seconda avviata ai primi di febbraio è diretta invece verso nord. Abbiamo contattato telefonicamente Joseph Mistrih, cristiano di Aleppo che prima dello scoppio della guerra era proprietario di una piccola impresa turistica.
Com’è in questo momento la situazione in città?
Io mi trovo nel centro di Aleppo, controllato dal governo. In questo momento la situazione è proprio tragica, perché da mesi manca l’elettricità e ultimamente anche l’acqua; i terroristi ne hanno bloccato il flusso verso la città.
Le vostre vite sono in pericolo?
Dalle zone conquistate dai terroristi piovono delle bombe di mortaio. Sabato si sono registrate alcune vittime proprio nel quartiere cristiano. Un padre stava cercando di salvare i figli che si trovavano in pericolo, ma appena è sceso in strada un mortaio ha colpito il palazzo. Lui è morto, mentre i figli sono stati tratti in salvo.
Che cosa fate per proteggere la vostra incolumità?
Non c’è niente da fare, la gente sta scappando. Chi riesce a resistere rimane e chi non ce la fa fugge, ma non c’è nessun Paese che sia disposto a ospitarci. La vita di chi fugge è molto dura, e in molti preferiscono rimanere a casa propria nonostante il pericolo. La gente ricca comunque ha già lasciato il Paese. Sono rimaste le fasce economiche al di sotto della media, fino a quelle in assoluta povertà, che vivono con gli aiuti forniti dalla Chiesa.
Di che cosa vivete e come trovate da mangiare?
Nonostante la guerra arriva ancora tutto in città, ma i prezzi sono altissimi. La guerra ha creato un nuovo lavoro: sfruttare la gente. Una persona sfrutta l’altra per sopravvivere.
In che modo?
Per esempio chi possiede delle provviste di alimentari le nasconde, aspettando che aumenti il prezzo, e poi le mette sul mercato. In questo modo guadagna di più. Inoltre per arrivare ad Aleppo le merci devono attraversare le barriere, e a ogni barriera c’è chi ci guadagna con i dazi. Le stesse fabbriche che producono nelle zone controllate dai terroristi devono pagare loro una tassa per poter continuare a produrre.
Lei rimarrà ad Aleppo o intende fuggire a sua volta?
Non mi piace l’idea di fuggire. Se avessi voluto avrei potuto farlo già da tempo, almeno finché la mia auto non è stata centrata da un mortaio. Ma anche se partissi, poi dove andrei? Non sono abbastanza ricco per trovare un alloggio sicuro. Rimanendo ad Aleppo con i soldi che mi sono rimasti riesco ancora a mantenermi, anche se ogni giorno i miei risparmi sono sempre di meno. Comunque non escludo in futuro di trasferirmi vicino a Latakia, nella cittadina d’origine di mia moglie.
Quali sono le sue speranze per il futuro?
E’ impossibile prevedere che cosa accadrà, perché la Siria oggi è come un pallone con il quale le grandi potenze si divertono a giocare.
Lei che cosa fa tutto il giorno nella città sotto assedio?
Da quando è iniziata la guerra la mia piccola impresa turistica è rimata inattiva. Possiedo ancora una copisteria, ma l’assenza di elettricità ci rende la vita impossibile. Durante la giornata rimango quindi a casa a leggere o vado a trovare gli amici.
Come vivono i suoi figli?
Ho due figli, uno di otto anni e mezzo e uno di un anno e mezzo. Quello più grande va ancora a scuola, perché si è riusciti a tenerla aperta. Ogni mattina però abbiamo paura, perché parecchi mortai hanno colpito l’istituto. Nel giardino della scuola ci sono tombe di bambini uccisi durante le lezioni.
(Pietro Vernizzi)