Dodici milioni di nuovi posti di lavoro in quattro anni. Non è l’”operazione simpatia”, non è nemmeno un discorso particolarmente brillante, ma quelle due cifre nel discorso di Romney resteranno memorabili. Di fronte alla convention repubblicana di Tampa, il candidato con un passato da imprenditore di successo punta sulla concretezza per rispondere alla crisi. Ilsussidiario.net ha intervistato Liliana Faccioli Pintozzi, che sta seguendo la convention come inviata di SkyTg24.
Com’è l’atmosfera che si respira alla convention repubblicana di Tampa?
Chi quattro anni fa partecipò alla convention che incoronò McCain e Sarah Palin mi ha raccontato che in quell’occasione c’era molto più entusiasmo. La mia sensazione in questi giorni è che ci sia una calma apparente di chi sa che se la sta giocando molto bene. Nonostante Romney non abbia colmato il gap con la classe media, i due candidati sono testa a testa. La carta in mano ai repubblicani è che oggettivamente l’economia va male.
Per Romney, è colpa innanzitutto di Obama …
Non mi stupisce, all’americano medio non interessa che la vera responsabilità sia della crisi dell’euro, dello tsunami in Giappone e delle due guerre di Bush. Negli Usa ci sono 23 milioni di persone senza lavoro, una disoccupazione sopra l’8% nonostante stimoli federali e le varie mosse di quantitative easing della Fed. L’americano medio vuole qualcuno da sgridare e da punire, ed è probabile che alla fine se la prenderà con Obama. Senza contare che ci sarà un numero crescente di persone che non andranno a votare.
Quante secondo i sondaggi?
Nel 2008 erano state 80 milioni, quest’anno dovrebbero essere 95 milioni. Per farsi un’idea, nel 2008 Obama aveva preso 70 milioni di voti. Secondo l’ultimo rilevamento, i 15 milioni di astenuti che si aggiungono quest’anno saranno soprattutto persone che nel 2008 votarono per i democratici. Nel Paese c’è molto scontento, e a pagarne le conseguenze sarà il presidente uscente. Se ciò sarà sufficiente a far vincere Romney, in questo momento è impossibile dirlo.
A che livelli è arrivata la personalizzazione dello scontro?
Non mi sembra una cosa sconvolgente, è una normalissima campagna elettorale a 10 settimane dalla conclusione e alla staffetta finale per il ruolo di leader del Paese. Nessuno dei due contendenti finora ha colpito l’avversario sotto la cintura.
Neanche Obama puntando il dito sulla dichiarazione dei redditi di Romney?
Per il candidato repubblicano era difficile pretendere di non essere attaccato su quel punto. La campagna però finora non ha toccato le famiglie, gli scandali del passato, amanti o cose simili.
La campagna di Romney, tutta giocata sull’economia, non rischia di rinunciare a fare sognare?
Quando il candidato repubblicano, che è anche un vero imprenditore, ha promesso che in quattro anni creerà 12 milioni di nuovi posti di lavoro, oggettivamente ha promesso un sogno. E’ l’America che è cambiata, Romney sta facendo sognare l’America che c’è adesso. Quello di quattro anni fa era un Paese isolato dal mondo per le conseguenze delle guerre in Iraq e in Afghanistan, aveva bisogno di uscire dalla cappa negativa del senso di accerchiamento dell’era Bush. Era un’America che aveva bisogno di credere nel sogno americano, e Obama lo impersonava. Oggi il sogno americano è lavorare, pagarsi la casa e permettersi di mandare i figli al college.
E Romney è la sua nuova personificazione?
No, direi piuttosto che lui sta rispondendo a quel sogno. Per lo sfidante del presidente è sempre più semplice, perché Obama può soltanto dire “è la strada giusta, andiamo avanti”. Romney ha dalla sua il fatto che non ha governato, non ha una responsabilità per ciò che è avvenuto finora, e quindi può accusare Obama di non avere capito qual è la ricetta giusta.
Il candidato repubblicano ce l’ha in mano davvero?
Le sue ricette difficilmente favorirebbero davvero la classe media, probabilmente porterebbero a una polarizzazione maggiore della società americana tra chi ce la fa e chi non ce la fa. Il rischio è una totale eliminazione della middle class. Obama intende infatti concentrare gli sgravi fiscali sul ceto medio, e non destinarli a tutti come Romney, il quale li compenserebbe con tagli alla spesa pubblica in settori come istruzione, infrastrutture, ospedali e sanità.
(Pietro Vernizzi)