Non saranno elezioni semplici le prossime presidenziali in Francia del 23 aprile e del probabile, quasi inevitabile ballottaggio del 7 maggio 2017, dopo due settimane. E ancora meno semplice sarà azzeccare il risultato.
Ogni tanto qualcuno va a vedere lo spread della Borsa di Parigi (che si è alzato, seppure non come quello italiano) e stila pronostici. Poi ci sono i sondaggisti, che dopo il 2016, tra Brexit, Trump e il referendum costituzionale italiano del 4 dicembre, hanno perso molta credibilità. Infine ci sono gli scommettitori, i vecchi bookmaker di stampo anglosassone che aggiustano, settimana dopo settimana, le loro quote. Ci sono favoriti, ma non certezze.
Si sa che la partita è decisiva per il futuro della Francia, ma soprattutto per il futuro dell’Europa. Marine, la figlia di Jean-Marie Le Pen, il vecchio leader del Front National, che sfidò Jacques Chirac nel 2002 e fu sconfitto in seconda battuta, per lo “spirito repubblicano” e antifascista di gollisti (in diverse versioni) e socialisti, si dovrebbe trovare di fronte anche lei a un ballottaggio.
Questa volta, al posto del quasi nostalgico “petainista” Jean-Marie, ci sarà appunto Marine, che ha “riverniciato” il Front National, collocandolo sempre a destra, ma in una posizione soprattutto antieuropeista, antisistema, antieuro e rivendicando al primo posto del suo programma la Francia, quasi nello stesso modo in cui Donald Trump lo ha fatto con la sua vincente campagna elettorale americana. I tratti della politica di Marine Le Pen, articolati su 144 punti, sono anche inzuppati di postideologismo e di superamento della dialettica tra destra e sinistra, nel più classico copione dell’antipolitica.
Dunque un’altra volta il cognome Le Pen andrà probabilmente al ballottaggio e, secondo analisti e osservatori, anche questa volta dovrebbe essere sconfitto. Ma va detto subito che il quadro politico francese dai tempi di Chirac a oggi è mutato profondamente.
Il vecchio Jean-Marie rappresentava l’espressione di una protesta di destra in una Francia che cominciava a scalpitare nei confronti dell’Europa e guardava con preoccupazione al disordine delle banlieue, ma non c’era ancora una crisi economica così profonda, non c’erano i “nuovi poveri” del vecchio ceto medio in crescente difficoltà e quasi in via di sparizione. Soprattutto non c’era ancora l’attacco di un terrorismo cresciuto in casa, tra gli immigrati giunti alla seconda e terza generazione.
E mentre ai tempi di Chirac, la quinta repubblica manteneva quasi intatta la sua compattezza di fondo, oggi la Francia si trova di fronte al fallimento dell’integrazione, secondo il giudizio di un grande finanziere franco-tunisino come Tarak Ben Ammar. Quindi Jean-Marie Le Pen rappresentava in fondo un pizzico di nostalgia del generale Petain mescolato alla “rivolta bottegaia” di Pierre Poujade, in salsa estremista e radicale di destra.
Ma dopo il gollismo e la “stagione” di François Mitterrand all’Eliseo, era difficile immaginare una caduta di popolarità così grande della classe politica francese, come quella che è avvenuta in questi anni e che ricorda l’agonia della quarta repubblica. Marine Le Pen, che rappresenta il primo partito di Francia, con una percentuale che oscilla tra il 25 e il 30 per cento, avrà di fronte soprattutto due personaggi nuovi. Il candidato gollista “classico” François Fillon, che ha battuto alle primarie il sindaco di Bordeaux, il vecchio ma conosciuto Alain Juppé, e ha detronizzato il “Fregoli” della politica francese, quel Nicolas Sarkozy che ha rappresentato una delusione atroce e cocente per i nostalgici della grandeur.
L’altro avversario della Le Pen sarà verosimilmente Emmanuel Macron, ministro dell’Economia nel governo socialista fino al 30 agosto 2016, con il governo socialista presieduto da Manuel Valls e poi dimessosi per entrare nella lotta per l’Eliseo con un suo movimento, “En marche”.
Macron è un radicale, che per molti aspetti ha punte di comportamento piuttosto spregiudicate e azzardate. Per terminare la lista dei concorrenti reali, occorre ricordare il socialista “verace” Benoît Hamon che più che l’onore, ha il grande onere di rappresentare il partito del presidente uscente Hollande, precipitato al 5 per cento della credibilità nei sondaggi.
Stando agli analisti della prima ora, Macron sembra il più agguerrito contendente di Marine Le Pen. Quando si è presentato, Macron, che ha 38 anni, ha detto: “Il sistema ha smesso di proteggere chi doveva proteggere. La politica vive ormai per se stessa ed è più preoccupata della propria sopravvivenza che non degli interessi del Paese”. Un discorso che voleva pescare soprattutto nell’elettorato giovanile ed entrare nell’area della grande delusione del partito socialista francese. Non disdegnando qualche tono demagogico.
Tutto bene, perché secondo i sondaggisti e gli osservatori alla fine sia Fillon sia Macron avrebbero le armi giuste, una volta arrivati al ballottaggio, di lasciare alla sua quota di “inutile” maggioranza relativa Marine Le Pen e quindi di batterla, raccogliendo il vecchio “spirito repubblicano”, che in Francia non si sarebbe disperso del tutto nonostante la crisi economica, gli attentati del terrorismo e la decadenza della classe politica.
Ma c’è qualche cosa che non quadra in questo schema che sembra voler ripetere lo schema del 2002. Prima la magistratura è arrivata sugli “affari” della moglie di Fillon, poi sono cominciate a nascere voci di discredito su Macron. E’ possibile che si tratti del solito clima preelettorale che ormai conoscono tutte le democrazie occidentali, ma c’è un dato di fatto che va segnalato.
Settimana dopo settimana, le scommesse mutano i protagonisti del ballottaggio. Mentre Marine Le Pen è sempre presente con il suo 30 per cento (scarso o stimato), Fillon e Macron si alternano nel ruolo di sfidante ufficiale.
E la questione non si presenta facilmente risolvibile. Fillon è un uomo di destra, un intransigente epigono del generale, Macron riesce invece a coniugare il liberismo, di cui è fedele interprete, con una sorta di politica sociale, una riedizione, secondo alcuni, di Tony Blair. Qualcuno ha scomodato anche un accostamento a John Fitzgerald Kennedy.
Ma se la Francia non si fidasse più della vecchia barricata gollista e avesse una completa sfiducia dei socialisti, soprattutto alla luce dell’interpretazione catastrofica di Hollande, Macron dovrà puntare sull’elettorato non tanto di destra gollista, ma piuttosto di centro e di sinistra moderata, che non vuole assolutamente la Le Pen all’Eliseo. Non è un’operazione semplice.
E’ per questa ragione che l’accostamento diretto tra questo prossimo ballottaggio, che si terrà con tutta probabilità il 7 maggio, è molto differente da quello che si è tenuto nel 2002, quando appariva scontata la vittoria di Chirac e nessun uomo della quinta repubblica, di destra o di sinistra, persino di estrema sinistra, avrebbe sprecato un voto contro Chirac. Oggi la sensazione è che tutto sia diverso.
Questo pone la questione di un passaggio cruciale, di un appuntamento al brivido per queste elezioni. Non è un caso che si guardi con attenzione e apprensione anche a queste presidenziali, sperando che Marine Le Pen non guadagni alcun voto al ballottaggio e soprattutto che non ci sia una diserzione alla urne dei candidati concorrenti, per non vedere un avversario concorrente all’Eliseo.
Non saranno bei giorni e non sarà semplice giudicare il risultato. Vinca Macron o Fillon, i voti di Marine Le Pen, questa volta, non rappresenteranno solo una protesta della vecchia Francia, che ha conosciuto anche ideologie oscure, la tragedia d’Algeria e via dicendo. Questa volta la forza elettorale della Le Pen misurerà la febbre che ha il “cuore” dell’Europa, la Francia; e soprattutto Bruxelles e l’Unione europea.