Tre raid condotti dall’Aeronautica egiziana hanno colpito obiettivi dell’Isis in Libia. Il governo del Cairo ha risposto così all’uccisione di 21 egiziani copti per mano dello stato islamico. In tutto sono 64 gli jihadisti uccisi dai raid aerei nelle città di Derna (controllata dal califfato) e Sirte. Nelle ultime 24 ore come forma di ritorsione il gruppo terroristico ha rapito 35 cittadini egiziani che si trovavano in Libia. Il presidente francese, François Hollande, ha parlato dell’ “importanza che il Consiglio di sicurezza si riunisca e che la comunità internazionale decida nuove misure”. Il presidente del consiglio italiano Renzi da parte sua ha frenato: “Non è il momento per l’intervento militare, apprezzo molto che su politica estera non ci siano divisioni tra i partiti. Vedremo che fare quando sarà il momento ma è bene che su una situazione di politica estera delicata il Paese non si metta a litigare”. Ne abbiamo parlato con Gregorio Giungi, analista politico-militare e per 25 anni quadro direttivo del ministero della Difesa ed esperto della Nato per aree calde come Medio Oriente e Kosovo, secondo cui “intervenire in Libia è un imperativo categorico per la sopravvivenza dell’Italia”.
Che cosa ne pensa della situazione in Libia?
Il punto della questione è che stiamo aspettando che qualcun altro faccia la guerra al posto nostro. Qui si tratta di impedire che l’Isis prenda il nostro gas e il nostro petrolio che ci permettono di sopravvivere, e che usi l’immigrazione ancora più di quanto hanno fatto finora per infiltrare dei potenziali terroristi nel nostro Paese.
La guerra in Libia contro Gheddafi ha prodotto solo disastri, e lei ne vorrebbe una seconda?
Non c’è da fare un paragone artificioso con il passato. Bisogna invece individuare tre cose che non vanno: la sicurezza, gli approvvigionamenti energetici e l’immigrazione. Oggi come oggi fare la guerra alla Libia è un imperativo categorico per sopravvivere. Quello che sta succedendo adesso è che, con la richiesta di un intervento sotto l’egida dell’Onu da parte di Renzi, stiamo dicendo che vogliamo che qualcun altro faccia la guerra al posto nostro perché abbiamo paura di farla noi.
Partiamo dalla prima questione. Perché intervenire in Libia è indispensabile per la nostra sicurezza?
La sicurezza regionale sarebbe stata compromessa se l’Isis fosse arrivato sulle sponde del Mediterraneo in Siria. Figuriamoci oggi che si trova a Derna, a poche centinaia di miglia marine da casa nostra.
L’Italia può fare a meno del petrolio libico?
La questione del controllo dei gasdotti e dei pozzi è cruciale. Noi abbiamo bisogno per vivere del petrolio e del gas che ci dà la Libia. Mi risulta che sia una parte importante del nostro approvvigionamento energetico, e non possiamo permettere che queste fonti siano controllate da esponenti jihadisti.
Come va gestita la questione migratoria?
E’ facile immaginare come userebbero l’immigrazione: come arma nei nostri confronti. Arma che tra l’altro usò a modo suo anche Gheddafi, che in realtà è stato artificioso definire un alleato. Il Colonnello era un ex nemico di fronte a cui ci siamo calati le braghe e che in qualche modo siamo riusciti a controllare patteggiando. Pensare però di fare la stessa cosa con l’Isis è impossibile.
Occorre intervenire solo a Derna, dove c’è l’Isis, o in tutta la Libia?
Questa è una distinzione che non ha senso in termini militari. Creare una sorta di testa di ponte dove ci interessa e aspettare che gli altri possano eventualmente operare una pressione su di noi non ha molto senso. In Libia a questo punto o non ci si va o ci si va punto e basta. Ma questa è una cosa che prima di tutto dovremmo fare noi.
La Libia però non è un tutt’uno ma un Paese molto frammentato…
Non riesco a capire distinzioni basate su singole zone di territorio. Potrebbe poi girare questa domanda a un vertice miliare, perché io non ho una cognizione così estesa, ma mi sembra veramente difficile che in una situazione come quella libica si possa pensare di sbarcare e occupare soltanto una parte del territorio. Occorre fare una guerra per ricacciare i jihadisti al di là dei confini, oppure accontentarsi di occupare le coste e le zone da cui ci approvvigioniamo di gas e petrolio.
Le tribù quale ruolo giocherebbero in questa guerra?
Salvini ha dichiarato che bisognerebbe prima cercare di identificare le tribù disposte a collaborare e senz’altro mi sembra sensato. Ormai però il tempo stringe e temo che non ci sia più molto spazio per un lavoro del genere. Se qualcuno poi riesce a identificare le tribù che vedrebbero di buon occhio il nostro intervento per cercare di appoggiarci a queste ultime, è evidente che sarebbe una cosa positiva. Occorre cercare di selezionare degli alleati affidabili.
L’Egitto potrebbe essere uno di questi alleati?
L’Egitto di fatto lo è già perché sta attaccando le postazioni in Libia. Il Cairo per il momento, se non cambia idea, è sicuramente dalla nostra parte, come lo sarebbe nei confronti di chiunque sia pronto a intervenire contro l’Isis.
Come reagirebbe il mondo arabo a un intervento dell’Italia in Libia?
Porsi questo problema è solo un modo per non cogliere qualcosa che va al di là di questi fronzoli della politica. Siamo in una situazione geopolitica di sopravvivenza. Considerazioni di questo genere si fanno quando non c’è un’emergenza, preoccuparsi del resto mi sembra ridicolo. M.i auguro che almeno sulla Libia il governo non sia diviso
L’Esercito italiano ha la preparazione necessaria per affrontare questa guerra?
L’Esercito italiano ce l’avrebbe, sono il popolo italiano e la società italiana a non averla, e questo è un dramma. Alla fine i nodi vengono al pettine della storia. Noi siamo ormai del tutto inetti dal punto di vista psicologico e culturale nei confronti dell’ipotesi di un confronto bellico. Adesso purtroppo ne pagheremo le conseguenze, anche se le nostre forze armate sarebbero perfettamente idonee a fare una guerra del genere.
Quanto potrebbe durare un’eventuale guerra in Libia?
Non sarebbe una guerra che si conclude dall’oggi al domani, si tratta di sostenere una situazione che potrebbe comportare escalation o sviluppi. Il popolo potrebbe essere chiamato non dico a una nuova coscrizione obbligatoria o a una mobilitazione, ma sicuramente a subire le conseguenze di una guerra e a sostenerla. Se l’Italia va in guerra, la società deve in qualche modo supportarla. Ma temo che come popolo non ne siamo in grado.
(Pietro Vernizzi)