La Corea del Nord ha ufficialmente condotto il suo secondo esperimento nucleare. L’esplosione ha provocato un terremoto di 4.5 gradi della scala Richter, avvertita in Russia e nella vicina Seoul. La vicenda nordcoreana, che con evoluzioni periodiche si prolunga ormai da più di un decennio, ha molti tratti paradossali, ma non va sottovalutata per le possibili, pesanti implicazioni per la stabilità internazionale e la sicurezza di un’area, quella del Pacifico, divenuta ormai centrale nelle dinamiche strategiche del pianeta.
Il tratto paradossale emerge dalla semplice lettura dei numeri relativi al Paese: ultimo e arcigno regime comunista, governato dal dittatore Kim Jong Il – il Caro Leader, per i suoi sudditi -, la Corea del Nord è tra i Paesi più poveri al mondo, con una popolazione ridotta alla fame e un’economia praticamente inesistente. La principale fonte di arricchimento è costituita proprio dall’esportazione di materiali sofisticati per la produzione di armamenti e di tecnologie nucleari. Negli ultimi anni, autorevoli acquirenti – tra cui l’Iran – hanno fatto shopping in Corea del Nord.
Il regime, da parte sua, per non essere tagliato fuori dalla storia, ha assunto, già dai primi anni ’90, la connotazione di “Stato canaglia”, sviluppando un poderoso arsenale missilistico e dando il via a programmi di arricchimento dell’uranio. Una escalation che ha portato a decine di incidenti diplomatici e a due conflitti regionali sfiorati. Soprattutto perché i vicini più potenti, dal Giappone alla Cina, vedono quello Stato come una concreta minaccia alla loro sicurezza. Anche se non sono immuni da qualche flirt diplomatico di troppo. I lanci di missili balistici nordcoreani nel 2004 e nel 2008 hanno sfiorato le acque territoriali giapponesi. Appena due anni fa, il Caro Leader annunciò una nuova prima atomica, che però non venne mai registrata dai sismografi.
Una ricostruzione, quella precedente, necessaria a capire le intenzioni che stanno dietro a questa ennesima sfida, che oscilla tra bluff e concreta minaccia. L’ex presidente Usa Bill Clinton istituì un gruppo di contatto composto da sei membri per negoziare lo smantellamento dei reattori nucleari nordcoreani in cambio di aiuti finanziari. Una strategia che ha funzionato fino a quando la Corea del Nord non ha temuto di perdere interesse da parte della comunità internazionale. Il cambio di Presidenza in America, l’attenzione crescente verso il dossier iraniano e l’evoluzione dei rapporti con la Cina hanno spinto oggi a questo nuovo braccio di ferro, dal quale Pyongyang si aspetta di ricevere un nuovo invito al dialogo per alzare, così, la posta in gioco.
La minaccia non va affatto sottovalutata, visto che il regime è già in possesso di missili a lungo raggio in grado di raggiungere le coste americane e di montare testate nucleari. La concentrazione di risorse sull’arsenale autoctono ha consentito lo sviluppo di testate conosciute come “Taepo’dong 1” e “Taepo’dong 2”, con una gittata superiore ai 3.550 km. Un missile, quest’ultimo, sviluppato su analoghi modelli russi e che è stato venduto su mercati quali quello libico, siriano o iraniano.
Proprio come nel caso dell’Iran, anche con la Corea del Nord occorre usare “bastone e carota” assieme. Il Paese ha spesso bluffato, in passato, sulle sue effettive capacità militari. Ma questa sfida nucleare è concreta e quindi le regole del gioco diplomatico vanno riviste: la carota dovrà essere più succulenta e il bastone più letale. Per il momento, non è nell’interesse della Corea del Nord rovesciare il tavolo negoziale, ma semmai scucire agli altri giocatori il massimo della posta, in termini di sopravvivenza del regime politico e di aiuti finanziari internazionali.
Al contempo, è necessario che i governi si rendano conto dell’assoluta inefficacia del sistema mondiale di non proliferazione nucleare. I vecchi trattati hanno bisogno di una profonda revisione. Paradossalmente, il Trattato di Non Proliferazione Nucleare (NPT) dichiarava come “potenze nucleari” solo quelle che, negli anni ’70, avevano già esploso testate atomiche. Ciò ha creato una proliferazione di fatto, posto che Paesi come l’Iran, il Pakistan, l’India o la stessa Corea del Nord non hanno accettato di far regolare i loro affari interni dalle super potenze del Consiglio di Sicurezza. L’Italia si sta muovendo in ambito G8 su questa strada; ma il tempo stringe.
Inoltre, l’Agenzia atomica dell’ONU (AIEA) necessita di capacità e strumenti più pervasivi e soprattutto, di cambiare un Direttore che ha scarsa autorevolezza fuori dall’area mediorientale.
Oggi, molto più che durante la Guerra Fredda, la minaccia di un’Apocalisse atomica non è materiale per autori di fantascienza.