Bab al-Aziziya, la cittadella bunker del colonnello Gheddafi, è caduta. Nel cosiddetto compound sono entrate le forze dei ribelli. La guerra civile in Libia, che dura ormai da sei mesi, sembra alla svolta finale.
All’interno non si trova il rais, che fa invece sentire la sua voce nella notte da un’emittente, Radio Aruba, e spiega determinato che combatterà fino alla fine. O vinceranno o moriranno. Gheddafi lancia accuse all’Occidente e spiega che il compound non è stato preso dai ribelli, ma è stato oggetto di 65 bombardamenti della Nato.
Il Rais promette inoltre un discorso via radio al popolo libico nelle prossime ore. Su queste esternazioni di Gheddafi, il professor Vittorio Emanuele Parsi, docente di Relazioni Internazionali nell’Università Cattolica di Milano, dice: «Che altro poteva dire in una circostanza come questa ? Il suo gioco ormai è quello di mettere in dubbio i fatti. Guadagna tempo. Non credo che fuggirà dalla Libia. Combatterà certamente. Ci sono sacche ancora di resistenza intorno a Sirte, c’è ancora battaglia. Ma adesso possiamo dire che il risultato finale della guerra in Libia non può più essere ribaltato. Gheddafi può solamente contare gli ultimi giorni. La sorte del suo regime è segnata. C’è una considerazione che pochi osservatori hanno fatto – continua Parsi – Da quando è morto Abdel Fattah Younis, l’ex generale dei ribelli, l’esercito del Cnt, il Consiglio nazionale transitorio, è avanzato rapidamente verso Tripoli. L’annuncio della morte di Youns è stato dato il 28 luglio. È un fatto di un certo interesse».
Si diceva infatti che Younis, ex ministro di Gheddafi, fosse sospettato di tradimento e che, sotto banco, fornisse ancora armi al rais. Probabilmente è stato eliminato. Ma è difficile trovare certezze in circostanze come queste.
Professor Parsi, si può dire che la situazione, dopo la presa del compound sia ormai sotto controllo?
Non si può ancora stabilire esattamente quello che avviene sul campo e anche in alcune zone della Libia. Ho parlato prima di sacche di resistenza, superiori al previsto intorno a Sirte e probabilmente anche a Tripoli. Al momento possiamo solo partire da un dato di certezza: il compund è crollato, non esiste più. Nella cittadella di Gheddafi sono entrati i ribelli. Questo è un dato di fatto.
Si può quindi affermare che stiamo entrando nel futuro della Libia, della Libia senza il rais, senza il colonnello che l’ha rappresentata per 41 anni ?
Inizia un processo. Bisogna fare molta attenzione a queste situazioni, altrimenti si può causare dei disastri e si sbatte la faccia contro la realtà. Inizia un processo postrivoluzionario. Ed è giusto che sia un processo. Quando si applicano degli schemi, quando si scelgono delle soluzioni rapide si cade negli errori che gli americani hanno fatto in Iraq. Guardiamo quindi questo processo post-rivoluzionario e vediamo come va a finire, senza cercare di influire direttamente sulle soluzioni. Si apre un processo che porta delle incertezze, questo è indubbio. Ma è stato così anche quando è caduta l’Unione Sovietica, per fare un esempio.
Con la caduta di Gheddafi e il sommovimento che c’è stato, quali possono essere nello scacchiere mediorientale ?
A me sembra di vedere due aree nell’attuale Medio Oriente, così come vedo due aree occidentali con differenti priorità. Nel Maghreb, cioè a occidente, ci sono interessi europei prevalenti. L’operazione in Libia non è stata fatta dagli americani. Questa non è stata la guerra di Obama. Questa è stata la guerra di Nicolas Sarkozy, un’operazione condotta dai francesi. A Levante,nel Mashreq, per usare la dizione araba, ci sono interessi americani prioritari, anche per la presenza di Israele.
(Gianluigi Da Rold)