La protesta in Turchia rimane viva, nonostante l’attacco della polizia nel corso della manifestazione a piazza Taksim il weekend scorso. Le immagini dell’uso violento della forza da parte della polizia hanno fatto il giro del mondo, ma nonostante questo Erdogan continua a difendere l’operato delle forze dell’ordine.
L’utilizzo dei gas lacrimogeni o addirittura l’immissione di liquido urticante nei cannoni ad acqua sono stati mostrati da tutti i media internazionali, mentre i quotidiani e le televisioni turche hanno dimostrato una certa “timidezza” nel seguire quanto stava accadendo.
Addirittura la Cnn Turk è diventata il simbolo di questa autocensura che certi media turchi si sono auto-imposti. Non solo durante la prima settimana di proteste non ha seguito in maniera approfondita quanto stava accadendo, ma nel momento delle prime manifestazioni oceaniche ha preferito mandare in onda un documentario sui pinguini, tanto che su tutti i social network quello dei pinguini è diventato un leitmotiv della presa in giro ai media considerati “di regime”.
In realtà in Turchia la stampa è libera, ma subisce fortissime pressioni da parte del Governo. Ci sono ancora troppi giornalisti imprigionati e l’Esecutivo trova i metodi per cercare di tenere a bada le informazioni.
L’idea di controllare Twitter e Facebook da parte del ministro degli Interni va proprio in questa direzione. Limitare la libertà di espressione e di stampa sta pericolosamente avvicinando la Turchia di Erdogan ai quei regimi arabi che per molti decenni sono stati presenti nell’area medio-orientale.
È la ragione per cui il principale gruppo di informazione, facente capo alla famiglia Dogan, è stato preso di mira negli anni scorsi. Hurriyet è il primo quotidiano in Turchia per copie vendute insieme a Posta e storicamente è stato a favore di una Turchia laica e moderna.
Questa posizione non è mai piaciuta al primo ministro Erdogan, il quale negli anni si è sempre schierato contro questi media.
Erdogan non è mai potuto intervenire direttamente, ma il gruppo editoriale è stato indagato per il non pagamento delle tasse ed è stato successivamente condannato al pagamento di una multa di oltre 3 miliardi di dollari. Una cifra spropositata che è sembrata essere una vera minaccia alla libertà di stampa.
Inoltre il Governo poco prima della sentenza di primo grado ha deciso di cambiare la legge e obbligare al versamento della multa, non a condanna definitiva, ma anche nel caso eventuale di una condanna di primo grado. Per questa ragione il gruppo si è trovato a dover vendere alcuni asset per far fronte a questa multa e allo stesso tempo si è ritrovato sotto una pressione costante da parte del Governo. C’è da chiedersi quanto sia relazionata la non ripresa delle notizie da parte di Cnn Turk, di proprietà dello stesso gruppo, e la pressione esercitata dal Governo Erdogan.
Non è un caso che altri media che hanno riportato maggiormente le notizie dal primo momento abbiano avuto un boom di contatti. È questo il caso di T24, un giornale online indipendente che ha visto nel giro di tre settimane crescere di sei volte il proprio traffico.
Le tendenze autoritarie di Erdogan sono molto evidenti anche nel mondo dei media, e non solo nella difesa dei metodi violenti della polizia, che dal primo ministro stesso sono stati definiti degli “eroi”. Queste parole del primo ministro sono arrivate proprio nel momento in cui Hurriyet, sempre del gruppo Dogan, faceva circolare il video del pestaggio, da parte di diciassette poliziotti, di tre manifestanti inermi che si erano rifugiati in un parcheggio.
In Turchia, come dimostra anche il caso dell’ultimo video messo in rete, non vi è una censura come quella cinese, ma la pressione del Governo tramite multe o tramite l’incarcerazione di giornalisti rende il clima alquanto fosco.