“Non vedremo i carri armati di Madrid nelle strade di Barcellona, ma ci sono non pochi gruppi indipendentisti radicali catalani che guardano al vecchio terrorismo dell’Eta e che creeranno sicuramente tensione e provocazioni. Il quadro non è bello e nessuno sa dire al momento come si evolverà” dice Fernando De Haro, direttore dei servizi informativi di Popular TV, in una conversazione con ilsussidiario.net. Quanto successo ieri con l’irruzione della Guardia Civile spagnola nei palazzi del governo catalano, spiega ancora De Haro “è assolutamente legale e questo lo sanno anche i catalani. La decisione presa dalla Corte suprema spagnola in ottemperanza a quanto dice la Costituzione, che nessuna regione autonoma può cioè minacciare l’unità e l’indivisibilità del paese, è assolutamente legale. Non è una sentenza che dice soltanto che il referendum che si vuole fare in Catalogna per l’indipendenza è contro la Costituzione, ma è una sentenza che dice che il referendum va impedito a ogni costo”.
Come si è arrivati a questo scontro diretto fra Madrid e Barcellona, dopo gli arresti di ieri e il sequestro di dieci milioni di schede elettorali?
Nel sistema spagnolo le regioni hanno una forte autonomia e anche se la Spagna non è costituzionalmente un paese federale come la Germania, godono dello stesso sistema di autonomia dei Land tedeschi.
In questo quadro la Catalogna si distingue da ogni altra regione del paese, come mai?
I nazionalisti catalani hanno cercato sempre di avere un federalismo asimmetrico in modo che il loro regime potesse essere diverso da quello delle altre regioni, godendo di uno status speciale. Bisogna tener conto che per secoli la Catalogna è stata una nazione indipendente. Nel 2005 ci fu una riforma dello statuto di autonomia che proclamava la Catalogna una nazione, ma fu immediatamente abolito dalla Corte costituzionale in quasi tutte le sue parti. Da quel momento c’è stata una crescita esponenziale dell’indipendentismo fortissima: dieci anni fa solo il 10 per cento dei catalani voleva l’indipendenza, adesso siamo al 40,1.
Nel 2014 ci fu però un referendum di tipo consultivo, cioè senza poteri legali, che vide una partecipazione al voto del solo 35 per cento della popolazione.
Era un referendum puramente simbolico, un referendum consultivo, senza alcun effetto reale. Si recarono a votare solo gli indipendentisti e facilmente ottennero l’80 per cento dei consensi.
Il sistema costituzionale non permette un referendum per l’indipendenza. La reazione di Madrid che abbiamo visto ieri è stata esagerata?
Il punto è che a differenza di quello che si pensava sei o sette mesi fa, non è emersa alcuna volontà di obbedire alla sentenza costituzionale. I giudici costituzionali hanno il potere di applicare quello che ha sentenziato il tribunale costituzionale e cioè che non solo è illegale il referendum per l’indipendenza, ma si deve impedire con ogni mezzo giuridico di fare il referendum. C’è un ordine per impedirlo, ecco perché il sequestro di milioni di schede elettorali oltre ad alcuni arresti.
Per questo ieri c’è stato il blitz nel palazzo del governo catalano con tanti arresti?
Certo, è stata un’operazione assolutamente legale e questo lo sanno anche gli indipendentisti. Il problema è come regolare in modo graduale la reazione del governo. Ci sono molte possibilità anche estreme, ad esempio sospendere totalmente l’autonomia della Catalogna, sostituire il presidente regionale. La Guardia Civile spagnola può schierarsi davanti ai seggi elettorali e impedirne l’uso. Ma il problema è come graduare ciò che la sentenza impone senza provocare un clima di scontro. Il governo si trova sotto pressione anche da parte della sinistra, che chiede ogni tipo di intervento per fermare il referendum.
Come pensa che agirà adesso Madrid?
Deve cercare di vincere, ma anche di convincere. Di fatto, gli indipendentisti aspettavano quanto successo ieri, per poter scendere in strada e accusare Madrid. Ripeto, la difficoltà è come graduare la sentenza dei giudici.
C’è qualche parallelismo con quanto sta succedendo e la vecchia questione dei Paesi Baschi?
No. Oggi nei Paesi Baschi nessuno vuole l’indipendenza, a parte qualche reduce dell’Eta. Sanno benissimo che stando con la Spagna si vive meglio, il realismo dell’economia ha vinto sull’ideologia.
Tornando a quanto succede in Catalogna, si può dire che il governo nazionale non abbia capito realmente cosa stava succedendo?
Certo, anche a causa della debolezza del sistema elettorale che ha obbligato spesso chi vince ad allearsi con gli indipendentisti catalani. Poi va riconosciuta la mancanza di qualunque progetto creativo per venire incontro a Barcellona, soprattutto durante il governo Zapatero che promise qualcosa ma non fece nulla. E’ mancata una controproposta ad esempio di federalismo asimmetrico. Tutto questo ha creato una tempesta perfetta.
Concretamente, cosa guadagnerebbe la Catalogna con l’indipendenza?
Nulla, perché ha già un’autonomia fortissima, anzi secondo molti studi dal punto di vista economico ci perderebbe. Ma ormai ha vinto il pensiero ideologico, tanto è vero che l’idea di indipendenza è stata pompata durante la crisi economica, facendo credere che con l’indipendenza tutto sarebbe stato risolto.
Che succederà adesso? Vedremo i carri armati spagnoli per le strade di Barcellona?
Assolutamente no, il confronto si manterrà su livelli politici. Certo preoccupano alcuni gruppi radicali che si rifanno all’Eta e che cercano di provocare per ottenere il caos. Abbiamo visto ieri che la polizia spagnola è addestrata per non reagire alle provocazioni che pure ci sono state, ma personalmente spero davvero che la giornata di ieri sia stata il punto più alto dell’escalation.
(Paolo Vites)