Un messaggio all’insegna del realismo, in grado di prospettare il cambiamento non senza sacrifici. E’ quello del presidente Barack Obama, che ha accettato la nomination di fronte alla Convention Democratica di Charlotte. “America, non ho mai detto che questo viaggio sarebbe stato facile e non ve lo prometto ora – le parole del presidente -. Sì, il nostro cammino è più difficile, ma ci porterà in un posto migliore. Sì, la nostra strada è lunga, ma viaggeremo insieme”. Ilsussidiario.net ha intervistato Alberto Simoni, vice caporedattore Esteri de La Stampa e responsabile del sito “Usa 2012” collegato al quotidiano di Torino.
Che cosa ne pensa dei toni usati da Obama a Charlotte?
Obama ha rispolverato Roosevelt. E’ tornato a chiedere responsabilità, ha invitato l’America a stare compatta e a condividere le scelte per uscire da una crisi che, secondo le sue stesse parole, è “peggiore di quella in cui si è trovata nel ‘29”, dopo cui si susseguirono i quattro mandati di Roosevelt. Obama ha dichiarato testualmente che la situazione è terribile, e che tutti devono rimboccarsi le maniche per uscirne. I toni sono quindi molto diversi rispetto al 2008, anche perché quattro anni fa Obama aveva la possibilità di scaricare le responsabilità della situazione economica sugli otto anni di amministrazione repubblicana.
Oggi Romney ha ragione a riversare le stesse accuse su Obama?
Se il presidente non ha colpe per quanto riguarda la gestione economica, e il suo unico limite è quello di non avere rimesso in carreggiata l’America, da un punto di vista della comunicazione politica si trova a parlare a un Paese i cui risultati macroeconomici non sono positivi come sperava anche solo uno o due anni fa. I dati di oggi sulla disoccupazione, pari all’8,1%, segnano un aumento dei posti di lavoro, pari in totale a 96mila in più, ma le aspettative erano per 120mila. Sempre più americani non cercano più lavoro, e quindi non sono rintracciabili da queste statistiche.
I democratici sono in grado ancora di rappresentare la classe media?
La classe media è quella che negli ultimi anni è rimasta indietro e fa più fatica, non solo sotto Obama ma anche nell’ultima stagione di Bush. Negli anni ’90, quando la classe media era forte, era splendidamente rappresentata da Bill Clinton, che non a caso nel 1996 stravinse le elezioni. Il suo merito era stato quello di offrire loro non la speranza, ma la concretezza di una casa, due macchine, l’iscrizione all’università per i figli. Era quindi una classe media che stava bene e aveva un alto tenore di vita.
Che cosa è cambiato oggi?
La classe media si sta assottigliando, perché molti di coloro che quattro anni fa ne facevano parte e avevano un reddito di tutto rispetto oggi si trovano in difficoltà e rischiano di non arrivare alla fine del mese. Molti di questi elettori sono i delusi di Obama, in cui avevano riposto la fiducia di uscire dalla crisi in cui era precipitata l’America nell’estate del 2008. Proprio per questo ora guardano altrove. Quanti degli elettori della classe media stanno con Romney e quanti con Obama, lo scopriremo solo con l’election day. Il risultato sarà deciso dai maschi bianchi di Virginia, North Carolina e Midwest, cioè da coloro che più di tutti hanno subito la crisi occupazionale.
Obama giovedì ha rilanciato anche sulla sicurezza nazionale …
Il presidente democratico ha portato avanti l’agenda che era stata del predecessore repubblicano e la sua politica di sicurezza si inserisce perfettamente nel solco della “dottrina Bush”. Se lasciamo perdere le sfumature di linguaggio, come “guerra preventiva” ed “esportazione della democrazia”, per quanto riguarda la lotta al terrorismo Obama è stato un vero falco. Bisogna dargli atto che gli obiettivi che si era posto li ha raggiunti: l’eliminazione di Osama Bin Laden, l’aumento delle operazioni con i droni sui cieli del Pakistan, l’uccisione dell’imam radicale al-Awlaki nello Yemen, per non parlare degli attentati sventati.
Quali saranno le conseguenze per la campagna elettorale?
Da questo punto di vista Obama può rivendicare dei successi importanti e anche simbolici. I repubblicani non hanno quindi nessuna intenzione di sollevare un tema nel quale Obama ha mostrato di sapersi confrontare, e proprio per questo giovedì sul palco di Charlotte è salito John Kerry, presidente della commissione Esteri del Senato. E’ apparso con dei veterani e ha parlato di sicurezza, proprio per cercare di bilanciare le lacune di Obama in economia, facendo vedere che il “commander in chief” in realtà è un ottimo condottiero.
(Pietro Vernizzi)