«Il discorso di Obama sul Medio Oriente segna una svolta decisiva. Sul ruolo degli Usa nella primavera araba le teorie cospirazioniste si sono sprecate. Ma i politici vanno giudicati per le loro azioni, non per le loro intenzioni. E quella di Obama è una risposta positiva alla realtà, completamente nuova, nata dalle rivolte nel mondo arabo». Wael Farouq, professore dell’American University del Cairo, commenta così il discorso del presidente Usa sul futuro del Medio Oriente.
Obama è stato «bocciato» tanto da Netanyahu quanto da Hamas. Perché invece lei lo promuove?
Gli Usa in passato, a causa della loro doppiezza, hanno sostenuto a lungo il fondamentalismo e la violenza. Il loro comportamento era completamente in contraddizione con i loro principi, ed è questo che ha suscitato la sfiducia dei popoli arabi nei confronti degli americani. Anche se le richieste dei popoli arabi, emerse alla luce durante la rivoluzione, non erano altro che democrazia, libertà e dignità. Tutti valori in perfetta armonia con i principi americani, occidentali e umani in generale. Per la prima volta, grazie al discorso di Obama, un presidente americano conferma che i principi vengono prima degli interessi.
In realtà a parole questo lo dicono tutti. Perché ritiene che ci sia una svolta sostanziale?
Perché in passato gli Usa hanno sostenuto le dittature del Medio Oriente. Non puoi affermare di fare la guerra per amore della democrazia, come faceva Bush, e poi appoggiare certi regimi. Questa contraddizione ha fatto sì che i popoli arabi nutrissero una profonda sfiducia nei confronti degli Usa. E questo tra l’altro è stato uno degli ostacoli principali alla pace tra arabi e israeliani.
Che cosa ha fatto Obama di veramente nuovo?
La cosa più importante: ha risposto alla nuova realtà nata in Medio Oriente con la primavera araba. Sono certo del fatto che la dinamica di questa rivoluzione continuerà a svilupparsi. Nessun programma «preconfezionato» potrà adattarsi alla realtà della società araba. Per la prima volta da decenni gli arabi hanno preso l’iniziativa e fatto il primo passo. Tutto ciò che chiediamo al governo americano e all’Occidente è quindi di rispondere in modo positivo a questa iniziativa.
Secondo alcuni, Obama starebbe solo cercando di «cavalcare la tigre» delle rivolte…
Qualcuno è arrivato anche a sostenere che le manifestazioni siano state organizzate dagli Usa. Le teorie cospirazioniste si sprecano, ma i politici vanno giudicati per le loro azioni. Non mi importa quindi quali siano le «intenzioni segrete» di Obama, vere o presunte. Anche perché in questo momento storico in Medio Oriente non c’è tempo per perderci in queste congetture. Se il processo di pace tra israeliani e palestinesi continuerà sul modello di quanto avvenuto in passato, non esistono dubbi sul fatto che ciò che ci aspetta è la guerra. Perché la dittatura di Mubarak, che ha frenato per decenni l’odio contro Israele, mantenendo nello stesso tempo una fragile pace tra i due Stati confinanti, oggi non esiste più. Se non c’è quindi un’intenzione positiva e autentica di risolvere la questione israeliano-palestinese, il conflitto è inevitabile. Mentre noi parliamo, ci sono persone che in Medio Oriente stanno decidendo di andare in guerra. Quindi oggi non abbiamo più scelta, non ci sono più sfumature di grigio, ci sono solo il bianco e il nero: o risolviamo questo conflitto in modo pacifico, o la situazione si farà sempre più complicata.
Sulla questione palestinese Obama è stato accusato di scarsa incisività. È d’accordo?
Al contrario leggendo il discorso di Obama ho avvertito in modo chiaro che gli Stati Uniti ora hanno una reale intenzione di porre fine al conflitto. Il discorso del presidente americano è un tentativo di lavorare per la pace, e non di lavorare contro i nemici della pace, come l’Iran, Hamas, Hezbollah o chiunque altro. C’è un’enorme differenza tra i due metodi.
Ma quelle di Obama non sono solo buone intenzioni senza concretezza?
Niente affatto. Se gli Usa riconquisteranno credibilità, possono giocare un ruolo molto importante nel processo di pace tra israeliani e palestinesi. Finora questo conflitto non è mai stato risolto perché non c’era nessuna intenzione di farlo, altrimenti si sarebbe già concluso da un pezzo. Negli ultimi 50 anni nessuno dei leader del Medio Oriente che hanno preso parte ai colloqui di pace volevano realmente la pace. Tutte le dittature arabe avevano come unico obiettivo quello di strumentalizzare la questione palestinese per motivi interni, allo scopo di mantenere il loro potere. Proprio per questo, se in futuro il Medio Oriente sarà composto da Paesi democratici e liberali, lo Stato di Israele non dovrà più temere alcuna minaccia dal mondo arabo. In una democrazia sono infatti gli interessi dei popoli a prevalere, e il più grande interesse dei popoli arabi è la pace. Che al contrario è molto svantaggiosa per alcuni partiti, governi e gruppi radicali, che finora guarda caso sono stati i soli protagonisti del processo di pace.
Ma come si può convincere chi, come Netanyahu e Hamas, si oppone al cambiamento?
Né Netanyahu né Hamas sono veramente importanti: la loro importanza deriva infatti dalle persone che rappresentano. Se chi li ha eletti crederà che c’è una strada pacifica per fermare il conflitto, tutti i politici radicali smetteranno di giocare un ruolo. Gli Usa non devono quindi sforzarsi di convincere né Hamas né Netanyahu, bensì di ottenere la credibilità, il rispetto e la fiducia del popolo israeliano e di quello arabo. Sono loro i veri protagonisti e a differenza del passato oggi hanno un atteggiamento positivo.
Obama ha promesso l’aiuto economico a Egitto e Tunisia. Ritiene che sia necessario?
È molto necessario, perché il più grande nemico della democrazia è la crisi economica. La transizione infatti non può essere promossa senza la stabilità economica, e quindi il modo migliore per favorirla è sostenere gli investimenti e fare sì che le persone sentano che il cambiamento non avverrà a spese del futuro dei loro figli. Se l’economia si risolleverà, la transizione dalla dittatura alla democrazia sarà naturale. Sono però ancora troppe le persone che in Egitto e in Tunisia non riescono a rispondere ai loro bisogni fondamentali.
Obama ha inoltre affermato che intende fornire assistenza alla società civile egiziana. Come tradurlo in reali riforme?
La società civile è decisiva. Il principale ostacolo alla democrazia non è infatti la dittatura, ma il sistema sociale, culturale e familiare, che deve essere a sua volta cambiato. Chi può giocare questo ruolo è la società civile. Cambiare il governo è infinitamente più facile che cambiare la mentalità delle persone. Tutti i tentativi di riforma finora provenivano dall’alto, e non dalla base della società. Al contrario la società civile può lavorare dall’interno della vita del Paese, non limitandosi a eseguire una decisione di un ministro. Sostenere la società civile non significa però sostenere quelle persone che si dichiarano filo-americane o liberali, ma partire dall’attenzione al tipo di progetti che stiamo sostenendo.
(Pietro Vernizzi)