Tutto sommato, sarebbe anche un ottimo posto per viverci. Il quartiere ebraico di Gerusalemme, nato attorno all’ultimo muro del tempio di Salomone, offre dai tetti una vista incantevole della città vecchia e tutta la pace che negli affollati suk arabi è difficile (per non dire impossibile) trovare. Ma non sono i prezzi (che per metro quadro fanno concorrenza a Manatthan) a rendere proibitivo l’acquisto di una casa, anche un monolocale. O, per lo meno, non solo.
Ve lo può spiegare meglio Amir, un ragazzo sui trent’anni impegnato nel sociale, che proprio ieri ha ricevuto una lettera di sfratto. Vicino rumoroso? Provocatore di risse o precedenti penali? Niente di tutto questo. Al contrario. I suoi vicini lo dipingono come una persona rispettosa, pacifica, ben integrata e che contribuisce al bene del paese. Ma è cristiano, e questo basta, purtroppo.
La sua disavventura inizia quando Lorena Sokolosky, proprietaria della casa dove viveva Amir, a settembre si vede recapitare a casa una lettera inaspettata che recita così: ‘’Sappiamo che lei sta affittando casa sua a una persona che non corrisponde ai criteri demografici della società ed è in totale contraddizione con il quartiere ebraico”. Nell’incredulità di Lorena, Amir continua a leggere la missiva inviata dalla compagnia governativa che si occupa dello sviluppo nel quartiere ebraico a Gerusalemme: “E’ ben noto che il quartiere ebraico è un posto tranquillo, con caratteristiche uniche, e tale deve essere mantenuto dai residenti, secondo il contratto di affitto con la società. Per questo motivo la invitiamo a far evacuare l’affittuario e ad assicurarsi che in futuro la casa sia abitata solo da persone corrispondenti a criteri demografici della società.”
Le ragioni appaiono ancora piuttosto vaghe. E soprattutto non sono chiari i criteri in base ai quali è stato deciso lo sfratto. Amir decide di rivolgersi direttamente al direttore della compagnia, Shlomo Atias. Che gli dice, molto tranquillamente: “Lei è un cristiano, può andare a vivere nel quartiere cristiano”. Giusto per non cadere in equivoci, ha precisato: “non si tratta di razzismo, semplicemente abbiamo ascoltato le denunce dei vicini’. Ci mancherebbe. E prosegue: “Per abitare in quel quartiere – incalza Atias – è necessario avere un documento di identità israeliana ed essere ebreo”.
Abbiamo capito – se avevamo bisogno di conferme – che ognuno a casa sua fa le regole che vuole, e Amir, dopo aver incassato la risposta, ringrazia e torna a far le valigie, per rispettare l’ingiunzione nei tempi previsti. E’ perplesso però: ancora non riesce a capire quell’affermazione sul razzismo, e a guardarlo non sembra molto convinto della risposta di Atias. Ma non importa. La notizia che in questi giorni domina i giornali israeliani è un’altra: Il “Gesù di Nazareth” di Bendetto XVI è stato accolto a braccia aperte dall’opinione pubblica israeliana ed è stato celebrato come un ulteriore passo nel cammino di avvicinamento tra ebrei e cristiani. Devo ammettere, a questo punto, che un po’ confuso lo sono anch’io…