“A Mosul non siamo ancora alla fase finale, ma soltanto all’inizio della fine. Sbaglia chi pensa che la liberazione avverrà entro poche settimane, prima che capitoli la più grande città del califfato ci vorranno mesi”. A spiegarlo è Fausto Biloslavo, inviato di guerra de Il Giornale. Domenica sulla tv di Stato irakena il primo ministro, Haidar al Abadi, ha annunciato l’inizio ufficiale dell’offensiva di Mosul. Nelle prime quattro ore di combattimenti le forze curde dei peshmerga hanno sottratto sette villaggi al controllo dell’Isis. Saif Abu Bakr, uno dei comandanti della frastagliata opposizione siriana, ha fatto sapere che i miliziani del califfato hanno messo in atto una resistenza “minima”.
Perché l’offensiva per liberare Mosul incomincia proprio adesso?
In realtà l’offensiva è cominciata dallo scorso marzo con una lunga manovra di aggiramento per arrivare a conquistare la cittadina di Qayyarah, a 70-80 chilometri a sud di Mosul. Qayyarah sarà il trampolino di lancio per l’attacco che è soltanto all’inizio. Per conquistare e liberare la capitale irakena del califfo saranno necessari mesi.
Come è congegnata l’offensiva?
Nel semicerchio sud-est rispetto alla città sono stati fatti avanzare 30mila uomini, pari a dodici brigate, composte da esercito irakeno e milizie sciite. Sono queste brigate che dovranno sobbarcarsi il peso dell’offensiva. L’operazione dei curdi, voluta soprattutto dai turchi, che ha conquistato sette villaggi è soprattutto una manovra di alleggerimento.
Con quali obiettivi?
L’obiettivo è chiudere il cerchio attorno a Mosul, che è una città molto vasta. Di fatto l’Isis si è ritirato sulla linea più difendibile, e non ha perso tempo nel cercare di mantenere il controllo dei villaggi. Tutti parlano dell’attacco a Mosul come se la liberazione dovesse avvenire domani, mentre ammesso che avverrà richiederà mesi.
Possiamo almeno dire di essere entrati nella fase finale dell’offensiva?
Non è la fase finale, ma l’inizio della fase finale. Prima i soldati irakeni dovranno arrivare alle porte di Mosul, e per ora non ci sono ancora. I curdi si trovano a una decina di chilometri, ma non entreranno mai perché non hanno né le forze né l’interesse per farlo. A mancare è soprattutto la volontà politica, in quanto i curdi si preoccupano del nord dell’Iraq. Il lavoro più grosso a Mosul lo dovranno fare l’esercito irakeno e le milizie sciite. Uno degli obiettivi era iniziare l’attuale fase entro novembre, e così è stato.
Lei lo scorso marzo è stato in Iraq. Ha assistito in diretta al “vero” inizio dell’operazione?
Sì. Quando è cominciata l’operazione nel marzo scorso mi trovavo in Iraq e ho assistito a quanto stava avvenendo. Le truppe irakene sono riuscite a oltrepassare il fiume Tigri e a conquistare Qayyarah. Nella cittadina arriveranno 500 americani, e sarà il trampolino logistico per gli elicotteri d’attacco e per tutti i rifornimenti necessari per la conquista di Mosul. Nei mesi successivi però l’operazione è proceduta a rilento, soprattutto durante l’estate quando è più difficile combattere. Quella che inizia ora è invece la stagione migliore per un’offensiva in Iraq.
Il controllo dell’Isis su Mosul è completo o ci sono sacche di resistenza?
Esistono piccoli gruppi di milizie sunnite addestrate dagli americani le quali rappresentano il primo abbozzo di resistenza dentro Mosul. In città ci sono stati anche rastrellamenti e fucilazioni, e qualcuno ipotizza la possibilità di un fronte interno. Io però ne dubito perché il controllo da parte dello stato islamico è ferreo e i sunniti non amano i liberatori sciiti.
Dopo avere vissuto il dominio dell’Isis, storceranno il naso all’arrivo degli sciiti?
Sì, al loro arrivo quantomeno storceranno il naso, in quanto vedranno il loro arrivo come una sorta di occupazione. Questo non significa che non saranno contenti di liberarsi del giogo ferreo dell’Isis. Se all’inizio il califfo è stato visto come un liberatore dal dominio del governo sciita di Baghdad, a lungo andare la gente è arrivata a non poterne più e molti hanno cominciato a fuggire dalla zona di Mosul. Queste persone hanno raccontato che il sistema dittatoriale di gestione del potere è tale da scontentare anche quanti inizialmente avevano accolto i militanti dell’Isis come liberatori.
(Pietro Vernizzi)