Nella mattinata di ieri Radio France International ha diffuso la notizia che tre monaci francescani del convento di Ghassanieh, in Siria, erano stati decapitati da estremisti islamici del Fronte Al Nusra con l’accusa di “essere al soldo del regime”. La conferma arriverebbe direttamente dal web, dove i jihadisti hanno postato il video dell’esecuzione. Poi, verso mezzogiorno la smentita: tutti i francescani della zona hanno risposto all’appello. Ma chi sono allora le persone del video? Voci parlano di un padre gesuita di cui mancano notizie da alcuni giorni. Ma anche di questo non ci sono conferme ufficiali. E gli altri due? Giallo. Non ci sono invece dubbi sul fatto che di queste cose “meglio parlare il meno possibile al telefono, soprattutto con l’Europa, dove sono presenti cellule estremistiche che registrano tutto e usano le nostre comunicazioni per le loro vendette”.
Intanto, domenica 23 giugno, ha perso la vita un altro religioso, padre François Mourad, molto vicino ai francescani della regione, barbaramente ucciso dagli islamisti che hanno fatto irruzione nel convento dove viveva, saccheggiando e distruggendo tutto. Quando ha cercato di opporre resistenza per difendere le suore e altre persone, i guerriglieri gli hanno sparato, uccidendolo. Chi conosceva padre Mourad lo ha sentito più volte affermare che “il desiderio dei cristiani in Siria e in tutto il Medio Oriente è quello di poter rimanere nei luoghi in cui è risuonato il primo annuncio della salvezza, mostrando nella quotidianità dei piccoli gesti il volto di Cristo”. Anche lui si è trovato faccia a faccia con l’“amico dell’ultimo minuto”. Con padre Bernardo Cervellera, missionario del Pime e direttore dell’agenzia AsiaNews, abbiamo fatto il punto della situazione.
Non è strano questo moltiplicarsi di video con esecuzioni sempre più cruente?
Effettivamente ci sono sempre più video di questo tipo. Curioso che il fondamentalismo islamico rifiuti in blocco la società moderna ma usi tutti gli strumenti mediatici per farsi pubblicità.
Servono a diffondere il terrore.
Questi video e il fatto che vengano messi su Youtube servono a far pubblicità a chi li mette, perché questi gruppi che lottano contro Assad in realtà lottano anche tra di loro per chi deve avere la supremazia. E non c’è modo migliore per dimostrare la propria supremazia che fare cose sempre più crudeli.
Un’escalation, insomma.
E’ evidente. Ognuno si mostra più crudele dell’altro: se uno strappa il cuore del nemico e ne mangia un pezzo, l’altro allora uccide e taglia la testa a una persona, l’altro la taglia a due, e così via. Di religioso non è rimasto nulla. Le vittime sono ormai tantissime anche tra i musulmani.
Lei ha visto il video?
Sì, l’ho visto. Si vedeva che erano militanti di paesi islamici ma di provenienza afghana, cecena, sudanese, probabilmente c’era anche qualche malaysiano e indonesiano. Questo si spiega perché diversi imam hanno dichiarato la guerra santa in Siria contro il regime di Assad.
Torniamo a quello che diceva poco fa a proposito del farsi pubblicità…
Toccare i cristiani paga in termini di audience, perché suscita grande partecipazione nel mondo. Così si fanno più pubblicità. Sanno che se ammazzano un cristiano tutto il mondo ne parla. E in un certo senso è vero. Il problema che lì si continua a decapitare gente da due anni, a rapire centinaia di persone, ad ammazzare bambini. E la comunità internazionale se ne disinteressa bellamente, dopo aver armato i ribelli.
Cosa dovrebbe fare?
L’unica voce rimasta è quella del Papa, prima con gli appelli alla pace di Benedetto XVI oggi quelli di Francesco. Alla conferenza di pace devono partecipare tutti i protagonisti della guerra, non solo i siriani, Assad e i suoi oppositori.
Chi altri?
Quella guerra è diventata una guerra regionale: ci sono sauditi, qatarioti, iraniani, iracheni, turchi, ecc. Tutti dovrebbero partecipare innanzitutto per dichiarare il cessate il fuoco e poi per stabilire una futura sistemazione dell’area.
Gli aiuti alle popolazioni proseguono?
Andare in Siria in questo momento mi sembra difficile. Ci sono Ong che portano aiuti ai profughi siriani in Libano, a quelli che sono in Turchia e in Giordania.
I cristiani resistono, non lasciano quella terra.
Che i vescovi siano là, dice del grande amore che la Chiesa ha per quella terra. C’è una grande resistenza di carità: ci sono sacerdoti che danno da mangiare a migliaia di profughi ogni giorno. Aiutano la popolazione a sopravvivere in una situazione che è diventata un caos violento, dove tutti sparano contro tutti.