Al campo profughi di Marj El Kok, nel sud del Libano, è caduta la neve. In questi giorni che precedono il Natale il freddo si è fatto pungente e gli oltre mille rifugiati siriani che vivono accampati stanno di nuovo combattendo, questa volta contro il gelo. Per loro, abituati a vivere con la colonnina del mercurio che supera abbondantemente i 40°, la situazione è particolarmente critica. Anche perché molti di loro sono arrivati qui con i soli indumenti che avevano addosso.
Nei ripari di fortuna che hanno eretto con plastica e stracci, ci sono anche 500 bambini che vivono scalzi. E se a 42° questo non crea eccessivi patimenti, con il termometro che segna 0 gradi, le cose peggiorano e anche di molto. Per quei poveretti le difficoltà pare non finiscano mai. Per fortuna, c’è chi non se ne dimentica e continua a provvedere alle loro necessità più urgenti. “In questo momento cerchiamo di aiutarli distribuendo vestiti caldi per i bambini, coperte e buoni benzina-gasolio, perché in alcune tende ci sono delle piccole stufe a gasolio che permettono di riscaldarsi almeno un po’”.
Chi racconta è il responsabile di Avsi in Libano, Marco Perini, che scende per un attimo dal pullmino che distribuisce plaid, trapunte e vestiario in genere per rispondere alla nostra telefonata. “E’ il minimo, ma proprio il minimo, che si può fare per permettere a queste persone di stare almeno un pochino meglio”, ci dice con una voce intirizzita. Ma c’è di più. “Per vedere, almeno per un attimo, il sorriso di un bambino, il nostro personale si è infilato il berretto di babbo Natale e sta girando fra le tende del campo a consegnare piccoli regali, cose molto semplici, come materiale scolastico, cioccolatini e simili”.
Lo scopo, tanto semplice quanto ambizioso, è quello di offrire momenti di “normalità” a persone la cui vita non ha più niente di normale. “In questi mesi il lavoro è stato intenso – spiega Perini –. Abbiamo portato l’acqua al campo di Marj El Kok, che per noi sarà una cosa normale, ma per loro, appunto, non lo era più. Abbiamo organizzato dei corsi di ripetizione, che sono un’altra occasione per restituire un po’ di normalità a questi bambini. Sono 150 quelli che frequentano regolarmente le scuole libanesi, che significa poter contare su altre 4-5 ore di normalità nella giornata.
Anche il babbo Natale fa parte di questa ‘strategia’. In un contesto assolutamente anormale – perché non c’è niente di normale in un campo profughi – il nostro tentativo consiste nell’offrire attimi di normalità. Anche se normale, la vita qui non lo sarà mai del tutto”. Ci riuscite? “A volte. Ad esempio capita di vedere un sorriso sul volto di uno di questi bambini: questo per noi è davvero impagabile. Per lui, ovviamente, non per noi che siamo lì a guardarlo”. Per questo ha senso vestirsi anche da babbo Natale, “che di per sé sarebbe una cosa stupida, di fronte a un’emergenza come questa”.
Cosa farete a Natale? “Andremo avanti con le distribuzioni e il 26 saremo nel west Bekaa. Non possiamo fermarci, il freddo non guarda se è Natale”. Intanto anche Israa, la piccola di pochi mesi che vive nel campo con sua madre Nada e due fratellini (il papà è stato ucciso mentre era al mercato a comprarle della verdura) ha ricevuto il suo pacco di Natale. Dentro c’erano alcuni vestitini e un paio di scarpe, regalati da un amico dell’ufficio Avsi che ha una bimba della stessa età. “Invochiamo più che mai la pace questo Natale – ci dice Perini prima di congedarsi -. Ci speriamo ogni secondo che passiamo accanto a queste persone. Al di là di tutto, al di là degli schieramenti, delle differenze di religione, quello che tutti vogliono qui è la pace e la possibilità di tornare a casa”.