E così si scopre che, secondo il Governo (stando alle dichiarazioni del suo portavoce, Jorge Capitanich), in Argentina si è risolto il problema della povertà. Dopo l’inflazione, la sicurezza e l’annosa questione dei tango bond, ecco un altro miracolo di un esecutivo che però patisce di una visione del Paese limitata al patio della Casa Rosada, sede dei discorsi della Presidente Cristina Fernandez de Kirchner, dove effettivamente tutto funziona a meraviglia. L’inflazione in effetti lì non esiste, anzi i guadagni di tutto il mondo politico targato Ka (abbreviazione di KirchneristA) si moltiplicano. Specie i patrimoni della cerchia di adepti della Campora (le “guardie rosse” del potere), che si ingigantiscono a dismisura, con cifre ormai a sei zeri. La sicurezza, poi, in quel pezzo del palazzo è garantita dalla sola presenza, durante i discorsi o gli atti presidenziali, dei fedelissimi di cui sopra o di altri movimenti. La povertà invece è stata sonoramente sconfitta, visto che oggi un appartenente al partito Fpv (Frente para la victoria), fondato dai Kirchner un decennio fa circa, ha un lavoro garantito nell’apparato statale ingigantito a dismisura proprio per accogliere una massa che garantisce voti.
Peccato però che fuori dal Palazzo, nell’Argentina che si estende per 7000 km di lunghezza per 5000 di ampiezza, le cose vadano in modo diametralmente opposto e la gente soffra l’inizio di una crisi, figlia di una decade nella quale si sono perse tantissime occasioni per emergere e condurre un livello di vita dignitoso.
Il castello delle bugie è ormai così sfrontato che anche molti settori governativi ne sono preoccupati. Le dichiarazioni che quotidianamente il già citato Capitanich offre nelle sue riunioni con la stampa (nelle quali le domande dei giornalisti sono molto spesso proibite) arrivano a livelli decisamente metafisici: come quando alle 7.15 di qualche settimana fa, in pieno sciopero generale indetto dalle centrali sindacali non filogovernative, l’ex governatore del Chaco ha dichiarato come “oltre il 70% dei lavoratori non ha aderito allo sciopero”. Per fortuna bastava uscire di casa in una qualsiasi città argentina per vedere autobus vuoti e strade deserte, segno inequivocabile del contrario. Ma che dire poi di tutto il battage mediatico sull’annosa questione dei fondi di investimento che hanno provocato quello che il Governo definisce un default che invece, a quanto pare, è tale dal 2001, anno in cui il Paese ci entrò per non uscirne mai? Città tappezzate di manifesti “Patria o Buitre” (“Patria o Avvoltoi”, come vengono definiti questi fondi), “I Fondi vogliono il tuo stipendio e la tua fame”.
Ovvio che il Governo sia preoccupatissimo per due motivi: in primis, perché, proseguendo nell’economia improvvisata del Ministro Kiciloff, l’Argentina passa da un errore all’altro peggiorando una situazione già catastrofica (l’indice di inflazione aumenta di due punti giornalieri); poi, perché i fondi americani (avvoltoi e non) hanno scoperto l’esistenza di ben 143 società fantasma, localizzate tra la Pennsylvania e il Texas, tutte a nome di Lazaro Baez, l’ex impiegato di banca che si è trasformato in uno dei personaggi più ricchi dell’Argentina perché è il gestore dell’immenso patrimonio dei Kirchner, gran parte del quale diviso in imprese offshore operanti oltre i confini nazionali…
Ora è lapalissiano che, rifacendosi su quest’Eldorado localizzato negli Usa, si arriverebbe all’assurdo (ma in verità moltissimi ci sperano) che parte del debito dei tango bond verrebbe pagata proprio dai Kirchner. Si tratterebbe della prima vera e unica manovra patriottica, nazionale e popolare del loro ultradecennale potere.
Il problema che si pone ora è sapere se questo Governo, che nonostante controlli la giustizia e gran parte dei media a suo piacimento non riesce a nascondere gli scandali che quotidianamente scoppiano, resisterà fino al 2015, anno delle elezioni, oppure se le gravissime condizioni in cui versa l’Argentina lo costringeranno a dimettersi. In ambedue i casi chi succederà a Cristina erediterà un Paese sul lastrico, nel quale serviranno manovre coraggiose ma anche un deciso cambiamento che possa finalmente portarlo a godere delle immense ricchezze che possiede.
Questa volta pare proprio che sia quella buona perché quelle dell’ottobre 2015, saranno le prime elezioni presidenziali da quando al Soglio di Roma c’è Monsignor Bergoglio, ora Papa Francesco. Difficile non pensare a Papa Wojtyla e l’influenza sul destino della “sua” Polonia. È chiaro che qui non c’è da abbattere nessun Muro di Berlino, ma un altro muro, forse peggiore: quello della politica al servizio di pochi, dove la corruzione è altissima, la giustizia non opera e la vita normale di tutti i giorni diventa una sfida vissuta con la paura di rischiarla a ogni angolo di strada, dove una gioventù ha ben poche prospettive e viene allettata da una delinquenza alla quale, complici anche eminenti politici governativi e non, si è aggiunta la piaga di un narcotraffico che se continuasse trasformerebbe l’Argentina nella Colombia degli anni Ottanta.
E quindi una situazione gravissima, calcolando anche che nel contesto latinoamericano paesi come Cile, Colombia, Perù, Ecuador, per non parlare di Brasile e dell’Uruguay che hanno fatto da battistrada, stanno emergendo economicamente e uscendo in alcuni casi dalle crisi che li coinvolgevano. Questo grazie sopratutto a due fattori: in primis, la coscienza che le grandissime risorse del continente latinoamericano possano garantirgli un futuro radioso solo se, a livello interno e con gli altri paesi del continente, si instaurano politiche comuni ma sopratutto al servizio della gente, combattendo la povertà che pareva endemica di una larga fascia delle popolazioni; poi, altra cosa importante, il dialogo interno teso al raggiungimento degli scopi, fatto che impone piani quinquennali che possono essere gestiti da schieramenti anche ideologicamente differenti ma che devono costituire un elemento comune.
Ecco, la salvezza dell’Argentina sta proprio in questo: liberarsi da politiche che di populista hanno solo il nome e iniziare un dialogo che faccia uscire il Paese dal tunnel. A questo proposito molte cose si stanno muovendo e i lettori del Sussidiario ne avranno a breve un ampio resoconto attraverso interviste fatte con personaggi che sono direttamente implicati in questo cambiamento: dall’economista Carlos Melconian, al Premio Nobel per la Pace Perez Esquivel, dall’ingegnere Carrasco, titolare di diverse indagini su malversazioni nel settore dei trasporti, al Professor Antonio Martino e gli autori di un libro “ Gli altri morti” (“Los otros muertos”) Carlos Manfroni e Victoria Villarruel. Perché si sta aprendo pure una rivisitazione corretta di un periodo storico sinistro della storia Argentina: quello della dittatura militare, anni la cui memoria e documentazione sono state vissute a senso unico spesso facendosi scudo dei diritti umani per mascherare politiche di ladrocinio puro, come negli ultimi 12 anni della storia di questo Paese. A noi molto vicino per molti aspetti, ma anche sconosciuto, perché basato su stereotipi che, in nome della sussidiarietà di questa testata, è giunto il momento di abbattere per favorire l’unica cosa che può salvarci da tutte le crisi: il dialogo maturo e reciproco, in nome del benessere comune.