Spesso la Catalogna viene rappresentata come vittima del centralismo del Governo spagnolo. La realtà è molto diversa. La storiografia indipendentista assicura che la Catalogna subisce un terribile centralismo da quando la dinastia dei Borboni ne ha preso possesso nella Guerra di successione (1714). Quella sarebbe stata una guerra coloniale. Non è vero. Non era una guerra di una nazione contro un’altra, né di indipendenza, né di secessione, né patriottica, ma una guerra europea e mondiale (tra due dinastie) e c’erano catalani da entrambi i lati.
Non è nemmeno vero che la Costituzione spagnola del 1978 o la sentenza della Corte costituzionale che taglia l’ultimo Statuto (una sorta di Costituzione regionale) limitino gravemente la capacità di autogoverno della Catalogna. Le competenze del governo catalano sono maggiori di quelle del più grande Stato federale d’Europa. C’è una grande possibilità di raccolta fiscale e la gestione dello Stato sociale è decentrata. La Spagna è stata, secondo l’Ocse, il primo Paese per intensità di decentramento tra il 1995 e il 2004. Tra le altre cose, per il decentramento della Catalogna.
Ai catalani non mancano diritti, in Spagna non sono limitate le loro libertà civili. Freedom House assegna alla Spagna il punteggio più alto nei diritti politici e civili: 95 su 100, uguale a quello, ad esempio, della Germania. L’Economist le attribuisce un valore di 8,3 su 10 nell’indice relativo alla democrazia, situandola tra la Francia (7,92) e la Germania (8,6). Nella sua relazione sui diritti umani del 2017, Human Rights Watch non menziona la presunta soppressione dei diritti in Catalogna, né accenna alla Catalogna come una questione rilevante.
Gli indipendentisti sostengono che i catalani contribuiscono molto più degli altri, con le proprie tasse, al bilancio della Spagna e che il deficit fiscale è di 16 miliardi di euro a favore della Catalogna. In un Paese la solidarietà interregionale è fondamentale. Ma è anche vero che questo squilibrio non è certo. Gli studi più seri mostrano che lo squilibrio che la Catalogna avrebbe raggiunto nel 2015 è solamente di 3,228 miliardi di euro, cioè l’1,6% del suo Pil. Il suo maggiore contributo netto deriva dal principio della progressività (a una maggiore ricchezza corrispondono più tasse), come avviene per gli individui. Inoltre, il disavanzo fiscale compensa il suo surplus commerciale. È vero, in ogni caso, e questo deve essere corretto, che la Catalogna riceve investimenti pubblici inadeguati rispetto al peso del suo Pil e della sua popolazione. Dal 2011 al 2015 gli investimenti statali di bilancio per tutta la Spagna sono diminuiti del 36,6%, mentre in Catalogna del 57,9%.
Una Catalogna indipendente sarebbe più povera. Secondo alcune stime perderebbe circa il 19% del suo Pil. Solo per effetto della caduta del commercio, il Pil catalano potrebbe scendere del 5,7%, vista la grande dipendenza delle esportazioni catalane dal resto del mercato spagnolo.
Non esiste alcun diritto alla secessione tranne i casi che sono previsti nel diritto internazionale. L’ultimo precedente, l’Ucraina nel caso della secessione della Crimea, è stato radicalmente respinto dal Consiglio europeo, dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite e dalla Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa. Il presidente di quest’ultima, in una lettera inviata il 2 giugno alla Generalitat catalana, ha evidenziato che qualsiasi referendum dovrebbe essere concordato con il governo e svolto “in piena conformità con la Costituzione”. Cosa che non si sta verificando, in quanto la legge catalana sul referendum (sospesa dalla Corte Costituzionale) si pone al di sopra e al di fuori della Costituzione spagnola e dello Statuto catalano. Inoltre, una Catalogna indipendente uscirebbe dall’Unione europea.
Il Governo spagnolo ha fatto molti errori con la Catalogna. Ma non ha violato diritti quando negli ultimi giorni ha fatto rispettare la legge. La legge non è l’unica soluzione al conflitto, ma è condizione necessaria.