Tzipi Livni è il nuovo Primo Ministro di Israele. Dopo Golda Meir, è la prima volta di una donna al timone dello Stato ebraico. Le analogie si sprecano: entrambe hanno fama di un carattere spigoloso e risoluto. La Livni ha già svolto un ruolo importante, come Ministro degli Esteri, rafforzando la partnership con gli USA grazie ad un realismo e ad un pragmatismo che in molti hanno apprezzato. Certo, la figura dell’ormai ex premier Ehud Olmert è stata ingombrante, soprattutto sotto il profilo della visibilità e del consenso interno. Adesso si aprono spazi più ampi, in cui la Livni dovrà dimostrare il proprio valore politico. Davanti a lei ci sono molte sfide, interne, regionali ed internazionali.
Innanzitutto, il futuro politico di Kadima, il partito centrista fortemente voluto da Ariel Sharon, costretto a non guidarne le sorti se non per qualche mese, a causa della grave malattia che lo tiene ancora in coma vegetativo. Olmert sembrò il candidato ideale a traghettare la nuova creatura fuori dalla tradizionale contrapposizione partitica tra laburisti e Likud, in un frangente nel quale Israele ha particolarmente bisogno di unità nazionale. Ma gli scandali finanziari, non da oggi, fanno parecchio clamore a Tel Aviv ed hanno travolto lo stesso Olmert.
Sulla Livni riposano ora le speranze di un ruolo di leadership maggiore per Kadima nella definizione dei processi politici, in un contesto nel quale sono numerosi i fronti aperti. C’è un accordo con la Siria da definire, rispetto al quale sono stati avviati solo timidi contatti diplomatici, mediati dalla Turchia. La situazione di sicurezza in Libano è precaria ogni giorno di più, con Hezbollah che torna ad assumere atteggiamenti ambigui e di provocazione. Il dossier iraniano continua a sollevare preoccupazioni, alla luce soprattutto dei recenti allarmi lanciati dal Mossad e dalla CIA su una possibile accelerazione del programma nucleare di Teheran alla vigilia delle elezioni presidenziali. Inoltre, i venti di guerra fredda che soffiano nel mondo, hanno condotto per ora ad un riavvicinamento della Russia all’Iran. Ultima, ma non ultima, è evidentemente la questione palestinese, congelata verso una frammentazione pericolosa delle parti in causa che non consente ad Israele di avere un interlocutore politico-diplomatico affidabile. Gaza è saldamente – e drammaticamente – nelle mani di Hamas, o meglio della costellazione che ruota attorno ad Hamas e che a volte si spara contro. In Cisgiordania, la leadership di Abu Mazen è quanto mai debole e le infiltrazioni di jihadisti sono costanti.
Questa elevata instabilità si associa ad una congiuntura economica preoccupante. La produzione è ferma, mentre l’inflazione continua a crescere, così come la disoccupazione. C’è da mettere mano alla politica monetaria del Paese e ad un nuovo allargamento dei mercati, essenziali per tenere alta anche la reputazione politica di Israele.
Sfide non semplici, quindi. La Livni, ex spia del servizio interno e ormai politica di esperienza, potrebbe innanzitutto mettere mano alla squadra di governo, per favorire una “seconda partenza” che gli israeliani si augurano possa essere quella buona.