“Un gigantesco passo in avanti per l’Europa, che mette nero su bianco una strategia”, così Renzi ha definito il Consiglio straordinario europeo del 23 aprile. In realtà, però, ciò che emerge dalle decisioni dei leader europei non può essere considerato né un gigantesco passo in avanti, quanto piuttosto un “passettino” in punta di piedi fatto per schivare l’ostacolo, né tantomeno una strategia, quanto piuttosto una politica del minimo comun denominatore dettata dall’evidente impossibilità di voltare la faccia, almeno questa volta, davanti all’ennesima, drammatica, ecatombe del mare.
Dopo una pletora di dichiarazioni più o meno impraticabili dei vari politici nostrani, rimbalzate di talk show in talk show (affondare i barconi; attuare un blocco navale; utilizzare droni armati; tornare a Mare Nostrum, etc.), presumibilmente — e realisticamente — il premier era partito alla volta di Bruxelles con l’intenzione di ottenere quanto più possibile, conscio del fatto che l’Italia non è nella condizione di poter negoziare: la gravità della situazione e la necessità di tamponare il problema non permettono grossi voli pindarici; avanzare troppe richieste o risultare troppo “pretenziosi” avrebbero rischiato di irrigidire le già riottose cancellerie europee, vanificando quei seppur minimi “passettini” in avanti.
E così l’Italia si accontenta di ottenere 9 milioni di euro al mese, e non più solo 3, per il finanziamento di Triton, che sarà dotata anche di maggiori mezzi tra navi, portaerei, elicotteri etc. — forniti da Gran Bretagna, Germania, Spagna e Croazia — e del mandato all’Alto Rappresentante della Politica estera europea Federica Mogherini per riuscire nell’arduo compito di mettere in piedi una missione di Politica europea di sicurezza e difesa comune (Pesd) sulla Libia che dovrebbe colpire gli scafisti e arrestare il traffico degli esseri umani. Una missione che per essere realizzata dovrà essere in grado di convincere tutti gli Stati dell’Unione Europea, per poi essere deferita all’Onu.
Ma nessuna missione sarà davvero realizzabile senza una chiara strategia per la Libia, da dove partono i barconi e dove lavorano tutte quelle organizzazioni criminali che regolano il fiorente traffico di esseri umani. E in Libia la situazione è complessa: nella nebulosa di attori che compongono l’intricato puzzle locale, la comunità internazionale riconosce il governo di Tobruk, che però è stato scacciato da Tripoli, dove è in carica l’altro “governo”, quello islamista, che controlla peraltro l’area da dove hanno inizio i viaggi della morte e che, almeno fin qui, pare non aver nessuna intenzione di aprire un dialogo collaborativo con l’Europa. Come se non bastasse, gli sforzi per una riconciliazione fra i due governi, a fatica portati avanti dal mediatore dell’Onu Bernardino Leon, non hanno fin qui dato grossi risultati.
Last but not least, l’Europa del Consiglio straordinario ha ulteriormente chiarito, qualora ce ne fosse stato bisogno, che Dublino per ora non si tocca. Da Bruxelles non sono arrivati impegni precisi sull’accoglienza per le migliaia di rifugiati che sono giunti e giungeranno sulle coste italiane. Renzi si è dovuto accontentare di un vago impegno “a creare un progetto pilota su base volontaria per i ricollocamenti nei paesi Ue, per offrire posti alle persone che hanno diritto alla protezione”. Eppure l’Italia sperava che fosse almeno abbozzata la discussione su una deroga al trattato di Dublino che stabilisce che i rifugiati debbano chiedere asilo nel paese in cui arrivano. Ma su questo punto anche Angela Merkel è stata chiarissima: “Siamo pronti a sostenere l’Italia ma la registrazione dei rifugiati deve essere fatta in modo adeguato secondo le regole Ue”.
Tanto basta per capire come non possano essere sufficienti la triplicazione dei fondi per la missione Triton, l’offerta di navi e il mandato esplorativo a Federica Mogherini per parlare di strategia europea. La strategia non c’è, e l’Europa nemmeno. Quell’Europa che nel non troppo lontano 2011 sembrava così decisa e pronta ad intervenire in Libia per defenestrare il sanguinario dittatore, e che oggi non sembra altrettanto pronta a far fronte “ai danni collaterali”.
In altre parole, Renzi torna a casa con la “paghetta triplicata” e qualche pattugliatore e portaerei in più, ma dovrà “giocare” da solo la sua “battaglia navale”.