Mentre leggevo le notizie in diretta da Toronto – casualmente stavo usando il mio computer durante questa tragedia – ho intuito chiaramente che era ancora troppo presto per capire dettagliatamente cos’era successo. Un terrorista? Uno squilibrato? Un membro di qualche setta? Anche se gli interrogativi erano molti, sembra tutto molto banale. Sembrava e sembra, appunto, un film già visto: un camioncino affittato, persone investite, diversi morti e l’attentatore individuato e arrestato. Sconcerto. Dolore. Sorpresa. Appelli alla calma. Social networks pieni di commenti, mappe, descrizioni, più o meno cruente, con notizie a tutto spiano su ogni “communication media”.
Di fronte a questo evento che, ancora un altra volta, mostra quanto siano vulnerabili le nostre azioni e il nostro vivere quotidiano, viene naturale pensare che la prima azione da compiere sia investigare, innanzitutto, sul perché di questo orribile gesto. Cos’ha mosso quell’uomo nel compiere queste azioni? Qual era il disegno dell’attentatore? Cosa voleva ottenere? Aveva dei complici? Dei mandanti?
Eppure, pensandoci bene, qualunque sia il risultato di questa indagine, non potrà che essere paragonato con una pratica che conosciamo molto bene, e cioè l’esercizio del perdono. Come si può perdonare un simile atto? Se è vero che odio, paura, terrore, ma anche sconcerto, disorientamento e voglia di vendetta non possono e non devono avere l’ultima parola su queste tragedie, come si può lasciar correre una simile azione e semplicemente pregare? Come si può non far finta di nulla vista anche la lontananza?
Certo che la realtà è diversa dai nostri sentimenti, ma non è banale – questa volta – chiedersi cos’è il perdono in queste situazioni. Che il perdono in atti di terrorismo non valga? Che ci siano situazioni dove non si possa applicare? O forse che abbiamo una idea sbagliata di perdono? Non avendo parenti o conoscenti coinvolti viene più facile riflettere, ma alla fine non ci vuole molto per capire che il il perdono, per essere applicato, chiede una condizione fondamentale, e cioè che sia chi lo riceve e chi lo dona, prenda una posizione chiara sul loro essere. Mi viene da dire che siano consapevoli.
Ecco: forse la risposta è questa. Questi eventi, anche lontani, con un dolore sfumato e quasi mediato, non possono non toccarci e renderci più consapevoli della nostra vita. Di più: questi eventi drammatici inesorabilmente ci ricordano che non c’è salvezza senza dolore e che il peccato è sempre l’abbandono della verità. Un abbraccio dagli Stati Uniti.