Stefano Dambruoso è un magistrato la cui attività antiterroristica è nota in tutto il mondo per l’impegno, la dedizione e l’efficacia con cui è stata condotta. Abbiamo chiesto una sua opinione in merito ai recenti fatti accaduti in Pakistan e, più in generale, allo stato della situazione mondiale
Dottor Dambruoso, alla luce dei recenti avvenimenti occorsi in Pakistan come giudica l’attuale situazione di quel Paese?
In Pakistan, dopo la caduta del governo appena uscente di Pervez Musharraf, e con l’assunzione dei nuovi poteri da parte del recente governo che si ritiene esser sostenuto dagli americani, la situazione è diventata sicuramente più tesa. Nel paese coesistono equilibri che erano già difficili da mantenere con in passato, durante il precedente governo. Oggi sembrano essere tornati sempre più precari e si è riaperta una conflittualità anche fra gruppi appartenenti a diverse etnie che sono espressione di raggruppamenti politici locali. I servizi segreti in Pakistan hanno sempre giocato un ruolo non squisitamente filogovernativo lavorando, diverse volte, anche in proprio o comunque facendo sentire i propri interessi e orientamenti a prescindere dai governi che si avvicendavano alla guida della nazione. Anche in questo scenario i servizi stanno interpretando il loro ruolo che corrisponde, grossomodo, a quello che hanno sempre rappresentato, e cioè un potere fortemente decisivo all’interno del territorio che si nutre di interessi non solo politici, ma anche politico economici.
E probabilmente sono espressione di un’autonomia e di un potere che non necessariamente vive sotto l’egida del governo attuale.
Quindi hanno interessi economici e non solo politici?
Ho parlato di interessi politico economici perché sicuramente, quando esiste una conflittualità di questo livello si può difficilmente prescindere dagli interessi economici posti in gioco
Per quel che concerne in Iran, dove le circostanze politiche sembrano sempre instabili da molti anni a questa parte, qual è la sua opinione?
Chi ha avuto la possibilità di passare qualche tempo in Iran si è molto probabilmente reso conto che il potere politico religioso al governo non sembra voglia accettare situazioni di un maggiore compromesso coi tempi attuali che arrivano da istanze fortemente rappresentate dalle giovani generazioni. Non si tratta del solito discorso dei giovani intesi come portatori di nuovi ideali, ma della presa di coscienza dell’effettiva giovinezza diffusa nel popolo di cui rappresentano una gran parte.
Questo elevatissimo numero di persone, che ha avuto la possibilità di entrare in contatto con un mondo diverso da quello in cui è costretto a vivere, rappresenta un elemento di ottimismo per quel che riguarda possibili cambiamenti sociali. Anche se forse, tali cambiamenti, non saranno immediati. Ma questa auspicata svolta sociale sarebbe di fondamentale importanza, in prospettiva, soprattutto, di un Paese che è strategicamente rilevante negli equilibri mondiali. Ricordiamoci che spesso gli equilibri mondiali dipendono fortemente da quell’area che è il centro del Medio Oriente. Attualmente la situazione non è per nulla diversa rispetto a quella di cinque anni fa.
Nulla si può dire che sia migliorato sostanzialmente, ma c’è un’aspettativa di mutamento della rigidità religioso politica espressa da Ahmadinejad e anche un diverso approccio dei rapporti che il paese potrebbe instaurare con Israele. Questo lo si spera soprattutto per scongiurare l’attuale minaccia atomica
Recentemente alcuni giornali, come la Stampa o Panorama, hanno parlato dello spostamento di task force marine nei pressi delle acque territoriali iraniane. Qualcuno ha anche ipotizzato questo fatto come un gesto di provocazione, che cosa ne pensa?
Io propendo per l’idea che sia azzardato definire un simile gesto come provocazione, soprattutto al fine di innescare un conflitto. Ritengo invece che ci sia una volontà, da parte delle grandi potenze occidentali che giocano un ruolo di indubbia importanza in quell’area, di far notare la loro esistenza, anche attraverso una presenza, non sempre giustificata a livello di diritto internazionale, in acque che appartengono legittimamente alla sovranità territoriale dell’Iran, ma, che in questo periodo storico, può sembrare utile violare pure solo per una questione di mero simbolismo rappresentativo.
Rispetto a sette anni fa l’Europa e l’Occidente intero corrono ancora i medesimi rischi di attentati terroristici? Assistiamo a un risorgere di Al Qaeda?
No, Al Qaeda non sta risorgendo, perché la reazione che c’è stata dopo l’11 settembre è stata idonea non tanto nell’eliminare totalmente il movimento terroristico, ma nel limitarne di molto la potenzialità offensiva. Si trattava di un gruppo ben radicato in Afganistan che, prima dell’11 settembre disponeva di possibilità d’azione fortemente agevolata anche dagli standard democratici dei paesi dove sono andati a colpire.
Rendiamoci conto del fatto che in un anno e mezzo è stato possibile, per i terroristi, preparare la fase organizzativa dell’attentato alle Twin Towers, sia in Germania, dove si è avuta tutta la libertà possibile sia nella stessa America dove hanno addirittura partecipato a corsi di formazione per piloti.
Tutto questo oggi non esiste più, si è attuato un monitoraggio adeguato alla gravità del fenomeno e alla gravità del rischio che non consente più tutta la libertà d’azione al gruppo terroristico.
Ma quello che tuttora persiste e cresce, purtroppo, è l’avvicinamento anche solo ideologico ad Al Qaeda mediante un proselitismo intelligente che è stato diffuso via internet.
Permane un forte proselitismo che si diffonde fra giovani che magari non hanno passato un solo giorno della propria vita né in Pakistan, né in Afganistan, ma che hanno assimilato il sogno del martirio come una possibile scelta che dia un senso alla loro vita non sempre adeguatamente soddisfacente. I proseliti sono giovani e presenti in numero elevato anche in Europa.
Quindi un’Europa che può dormire “sonni tranquilli ma non troppo”?
Abbiamo fortunatamente, e direi piuttosto bene, metabolizzato il fenomeno che non è più una novità rispetto all’11 settembre quando tutti, a parte un esiguo numero di esperti, ignoravano le potenzialità di questi terroristi.
Oggi siamo consapevoli di convivere con questo fenomeno, del fatto che non sia necessaria una grande preparazione per compiere attentati di ogni sorta e che molti emuli degli attentatori si possono ispirare in maniera ideologica. Conviviamo con questa situazione che non significa abbassare la tensione, ma agire con un approccio differente da prima.