Mohammed Bin Salman sarà il nuovo Re dell’Arabia Saudita, sconvolgendo le regole millenarie tipiche di un universo poligamico che imponevano la successione tra fratelli per grado di anzianità. La trasformazione ha due fondamentali concause. La prima è di origine interna all’apparato antropologico poligamico e segna l’emersione della consanguineità all’interno del sistema delle mogli. È prevalsa la linea di una delle mogli che ha via via conquistato gradi crescenti del potere saudita. Non è certo che si sia dinanzi a un mutamento irreversibile, ma certo si tratta di un cambiamento rilevantissimo, che è in corso anche negli Emirati Arabi Uniti e in Qatar. Emergono leader giovani che non hanno bisogno di rinnovare le loro piastrine nella valle del Giordano sotto il livello del mare e straordinariamente ricca di ossigeno. Ma il giovane Salman è ministro della Difesa e con l’altro giovane leader guida la battaglia contro gli sciti yemeniti che sta consumando un mare di dollari e inasprendo ogni giorno di più il conflitto con l’Iran e il Qatar.
Alla base di tutto vi è una divisione sull’atteggiamento da tenersi nei confronti dell’Iran e in definitiva nei confronti della coalizione russo-turco-iraniana che combatte in Siria in funzione pro Assad e anti-curda, mentre gli Usa non dismettono le loro illusioni in merito alla capacità dei curdi di essere non solo dei fantastici soldati, ma anche degli statisti in grado di superare le rivalità secolari tra clan talibani e clan barzani. È sempre andata diversamente. Neppure il Trattato di Sevres quasi un secolo fa, che creò uno stato curdo unito, li convinse a non massacrarsi a vicenda rendendo cosi instabile tutta l’area mesopotamica e turco-siriana.
L’avanzata della coalizione pro Assad prosegue invece senza sosta, unendo alla guerra sul campo la guerra diplomatica, così come è successo or ora in Libano, dove a Presidente della repubblica si e deciso di nominare il generale? Michel Aoun, capo storico dei cristiano maroniti e fortemente appoggiato da Hamas e quindi da Teheran. È una schiacciante sconfitta del clan Hariri e dei sauditi che vedono alzarsi la mezzaluna sciita da Teheran a Beirut con una schiacciante vittoria. La stessa esplosione a Mosul per mano dell’Isis della sua stessa moschea indica che il conflitto siriano si avvia alla conclusione. Tra gli europei i vittoriosi sono i francesi inventori un tempo degli alawiti di Assad e padroni de cristiano maroniti oggi.
La vittoria di Macron non a caso avviene in questo tempo di fine del conflitto siriano dove ci si prepara a sedersi ai tavoli della ricostruzione. Ed è infatti in questo contesto che la Germania lancia il Piano Marshall sull’Africa, che altro non è che la foglia del fico umanitario diretto a rinverdire il mito del Tankanica e a piantare la bandiera tedesca sul tavolo delle negoziazioni quando si apriranno. A Mosul c’è un’impresa italiana, ma non pare ch’essa sia la nostra carta vincente per sedere a quel tavolo. È più probabile che si rafforzerà l’asse francese.
È in atto un’enorme trasformazione nel mondo saudita, che si appresta a trovare nuove risorse quotando in Borsa la Aramco, la major petrolifera geostrategicamente più importante al mondo e frutto del cinquantennale impegno Usa profuso per fare dei sauditi alleati stabili e sicuri. Oggi tutto è instabile però, a partire dall’Opec e dal prezzo del barile, anche se quel terreno e l’unico su cui sciiti e sunniti trovano una roccia per sedersi a negoziare.
Di tutto ciò in Italia si tace e non si fa parola se non per cronache più o meno accurate. Eppure lì in quelle terre, in quei deserti, su quei mari c’è una parte importante della nostra storia, a cominciare dalla Libia e dall’Egitto, per finire in Etiopia, Somalia ed Eritrea. Ma tutto pare soffocato dalle perniciose e puerili beghe nostrane. Lo strapaese vince.