Quello che si chiude è un anno che i libri di storia dei prossimi anni scriveranno in grassetto, spiegato come un giro di boa fra un’epoca e un’altra. Fra il trionfo, effimero, del multiculturalismo senza regole e del buonismo scellerato, dell’estremismo istituzionalizzato e di una certa élite politica mondiale, e il loro graduale ma evidente offuscarsi. Un passaggio di confine fra due culture dominanti che per decenni si sono date battaglia e ora segnano un nuovo equilibrio storico e geopolitico; inizia a chiudersi, in questi mesi, il cerchio il cui disegno prese forma nel cosiddetto “discorso del Cairo” di Obama del 2009, che aveva sdoganato la Fratellanza musulmana e le spinte salafite che da anni tentavano la scalata al potere nei Paesi arabi e non solo.
E che da allora hanno messo piede nelle cancellerie mediorientali e nordafricane solo per pochi mesi, per poi lasciare il passo al ritorno di governi laici, dalla Tunisia che ha cacciato l’estremismo con una tornata elettorale storica, all’Egitto che ha chiamato a gran voce al potere il generale Al Sisi fino alla Siria, che a Damasco ha aperto le urne riconfermando Bashar Assad come presidente, delegittimando di fatto le fazioni ribelli, ormai troppo legate al terrorismo. E la Libia oggi lascia segni interessanti, che portano al generale Haftar. E che la ruota della storia abbia ripreso a girare lo testimonia l’emersione di Isis, formazione terroristica insediatasi fra Siria e Iraq, nata proprio in reazione al crollo del sistema di appropriazione del potere da parte dell’estremismo. Il califfo Al Baghdadi, leader di Isis e autoproclamatosi principe dei credenti, rappresenta oggi l’ultima arma in mano alla strategia estremista, che tenta di spargere ancora il suo seme in un mondo che pian piano ritrova coscienza di sé e delle sue prerogative di libertà.
E più la tendenza si acuisce, più l’integralismo tenta di spezzare il ritmo, con attentati e azioni apparentemente compiute da “lupi solitari”, dal Canada all’Australia, passando per la Francia; nonostante in molti si siano affannati a parlare di “squilibrati” e di azioni perpetrate da “pazzi”, è evidente che l’appello di Al Baghdadi a colpire gli occidentali anche con auto lanciate sulla folla abbia sortito il suo effetto venefico: l’integralismo in Occidente c’è, è vivo e a chi sa come esso può agire, fa paura. Mentre rinasce la reazione all’imposizione estremista, nel linguaggio, nell’abbigliamento, nell’annullamento delle tradizioni e in tutto ciò che essa porta con sé, il terrorismo tenta di trovare altre strade anche sparigliando le carte e puntando l’obiettivo verso Est, verso la Russia e la Cina, obiettivo ultimo di una strategia che perde sempre più colpi.
Tutto questo mentre la leadership di Barack Obama cala vertiginosamente e i timori di Arabia Saudita e Qatar per un contagio estremista di Isis crescono alla velocità della luce, testimoniando il cambiamento di equilibri che solo fino a un anno fa parevano destinati ad una vittoria senza ostacoli. E nel mezzo un’Europa che traballa sempre di più, schiacciata dalle spinte autonomiste dei singoli Paesi da una parte e dai fallimenti delle sue politiche economiche e sociali dall’altra.
La domanda che ora dobbiamo porci, facendo un passo in avanti, è cosa accadrà nel 2015. Avrà il mondo la forza di ricostruire un percorso di rinascita culturale, ideale e di libertà? Il ciclo della storia pare indicare questa via, ma occorre cautela per non cadere nel tranello di credere che tutto sia già compiuto. Dobbiamo sempre e comunque continuare a pensare, a ragionare e a porci delle domande. Perché la prima svolta, quella decisiva, è nella nostra testa e nel nostro cuore. Meno avremo paura di noi stessi e della nostra libertà, più difficile sarà incatenarci, nel corpo e nella mente.