I disordini in Medio Oriente causati dalla pellicola su Maometto rischiano di mettere a repentaglio il già fragile equilibrio in cui vive la comunità copta in Egitto. L’autore del film, infatti, è un cristiano copto di origine egiziana che vive negli Stati Uniti. La comunità copta in Egitto rappresenta circa il 10% della popolazione, pari a circa 9 milioni di persone, e da quando i Fratelli musulmani hanno conquistato posizioni di potere si è incrementato l’esodo dei cristiani verso l’estero. Tuttavia, il portavoce del presidente egiziano Morsi ha dichiarato che le relazioni fra musulmani e copti sono strette, rilevando che “la porta della presidenza è aperta a tutti” e che sono in corso contatti permanenti con i rappresentanti delle Chiese in Egitto. Abbiamo raggiunto per IlSussidiario.net il portavoce della Chiesa cattolica egiziana, padre Rafic Greiche.
Lei pensa che la reazione del mondo islamico al film sia giustificata?
Il mondo islamico ha sempre reagito in questo modo: loro sono molto “emotivi”. Le loro reazioni sono sempre sopra le righe, basti pensare ai disordini in seguito alla pubblicazione, qualche anno fa, delle vignette danesi e francesi (dove veniva presentata un’immagine caricaturale del Profeta Maometto, ndr). Ciò accade per mancanza di educazione e perché sono facilmente influenzabili. In questo modo i fondamentalisti islamici, che sono molto ben organizzati, riescono a incitare la folla a manifestare, non solo in Egitto, ma anche in Libia, Tunisia, Pakistan e Yemen. E’ sempre lo stesso fenomeno.
Stavolta però è diverso: non si tratta di un film prodotto in Occidente, ma da un copto negli Stati Uniti.
Questo è vero, ma non c’è differenza: il modo di reagire rimane lo stesso. Per gli egiziani, il fatto che il film sia stato realizzato da dei copti mette in grave difficoltà i cristiani in quanto tali, in special modo la Chiesa copta ortodossa in Egitto. Adesso i copti devono difendersi, dichiarando che sono dalla parte dei musulmani, che sono contro il film e che esso non ha nulla a che fare con il cristianesimo.
Cosa intende fare la Chiesa copta per proteggere i suoi fedeli?
I copti stanno partecipando alle manifestazioni. Come si è visto il primo giorno delle manifestazioni, davanti all’Ambasciata americana c’era un gruppo piuttosto numeroso di copti che protestava contro il film, mostrando delle croci. Anche ieri, davanti alla cattedrale copta e ad altre chiese vi sono state altre manifestazioni di protesta, nelle quali anche sacerdoti copti si sono uniti ai musulmani.
Pensa che dopo l’uscita di questo film le condizioni in cui vivono le comunità cristiane in Egitto siano destinate a peggiorare? Aumenterà il numero, già elevato, di persone che stanno lasciando il Paese?
Le cifre ufficiali fornite dalle varie ambasciate, americana, canadese, australiana, neozelandese e altre, indicano che più di 500mila persone hanno lasciato, o sono intenzionate a lasciare, il Paese. Dal mio punto di vista è un vero peccato, poiché i copti cristiani che partono sono persone con un alto grado di istruzione. Si tratta di gente benestante che ha conseguito lauree o master in scuole cattoliche o private, mentre gli strati più poveri della popolazione sono costretti a restare. Quella che si sta creando è davvero una situazione spiacevole per la comunità copta.
Cosa possono fare i governi europei e la Chiesa per aiutare a risolvere questa situazione?
Il Papa è stato in Libano e la sua presenza sta offrendo un grande aiuto. Anche la firma dell’Enciclica sull’Esortazione Apostolica Ecclesia in Medio Oriente arriva al momento più opportuno.
Lei pensa che il montare di queste proteste sia stato causato dalla presenza del Pontefice in Medio Oriente?
No, non penso che tutto ciò sia stato fatto a causa della visita del Papa. In ogni caso, la Sua presenza non può che portare speranza e un segno di incoraggiamento a tutte le comunità cristiane mediorientali. Noi apprezzeremmo che i governi europei aiutassero i cristiani a rimanere nei loro Paesi d’origine e a non lasciarli per venire in Europa. Fondamentale è anche l’aiuto nel campo dell’educazione.
Si tratta, quindi, di una questione culturale più che politica?
Sì, riguarda essenzialmente la cultura e l’educazione.
Lei ha definito i musulmani “emotivi”. Ritiene che questo sia un fatto puramente culturale?
Quando la situazione sfugge di mano, a mio parere, non è più possibile trovare giustificazioni che si basino sulla cultura. Se la saggezza e il giudizio scompaiono c’è solo posto per il “sentimentalismo” spinto da motivi politici.
C’è, perciò, una netta linea di demarcazione fra il fondamentalismo e la religione?
Certamente, ma i fondamentalisti usano la religione per fomentare le folle e spingerle a manifestare.
Lei ritiene che il Papa sia stato in pericolo in Medio Oriente?
Non penso. In Libano il Santo Padre era al sicuro, sebbene il pericolo sia ovunque. Anche a Roma. Giovanni Paolo II fu ferito proprio davanti alla Basilica di San Pietro. In un modo o nell’altro, le personalità politiche e religiose sono sempre in pericolo.
Come giudica il nuovo esecutivo egiziano guidato dal neo presidente Morsi? Può rivestire un ruolo importante nella distensione dei rapporti fra la comunità musulmana e quella copta?
Il presidente Morsi ha incontrato i vescovi cristiani negli ultimi due mesi e ha fatto molte promesse. Finora, purtroppo, non abbiamo notato alcun segnale che ci indichi che queste promesse verranno mantenute. A questo punto non riusciamo a capire se siano solo bei discorsi o se il governo abbia intenzione di impegnarsi seriamente per le comunità cristiane in Egitto.
Lei pensa che ora i Fratelli musulmani abbiano un’influenza molto forte nel Paese?
Senza dubbio la loro azione è capillare presso la gente comune, anche dei piccoli villaggi, e hanno molta capacità di convinzione, come hanno dimostrato nelle recenti elezioni.
Come definirebbe i Fratelli musulmani: una formazione politica o religiosa?
E’ un movimento politico che usa la religione islamica per scuotere e muovere le folle. E’ una sorta di “islamizzazione politica”.