REFERENDUM CATALOGNA. Una giornata nera, nerissima per la Spagna. Una giornata nera, nerissima, per questa Europa, silenziosa, grottesca e incapace di suggerire soluzioni politiche, se non sono legate a far quadrare conti e bilanci. Alla fine, una giornata nera, nerissima per il futuro della democrazia.
Il referendum sull’indipendenza della Catalogna si è fatto ugualmente, con la polizia di Madrid che sgomberava seggi, confiscava urne e schede, sparava proiettili di gomma contro le persone, persino anziani e bambini, come è stato documentato da diverse televisioni e testimonianze giornalistiche. Mettendo sotto accusa la polizia catalana che si rifiutava di intervenire e caricando anche i vigili del fuoco fuori dai seggi.
E’ vero, il referendum non era costituzionale. Ma le persone potevano anche disertarlo e si poteva disinnescare successivamente con una trattativa il risultato. Ma che paura c’era di lasciare che una consultazione si ultimasse senza incidenti e poi venisse dichiarato nullo il risultato, senza alcun valore? Di che cosa avevano paura a Madrid? Di un voto di dissenso, di un risultato negativo?
Così il bilancio di questa giornata per il primo ministro spagnolo, Mariano Rajoy, e del suo governo è di quasi 850 feriti in Barcellona e in tutta la Catalogna e di una sconfitta totale su una sorta di referendum mediatico davanti a tutto il mondo. Magari qualcuno, con le televisioni, ha conosciuto anche la bandiera catalana per la prima volta nella sua vita. Una pubblicità incredibile mandata in diretta. E nonostante la presenza repressiva della polizia madrilena, pare che siano andati a votare tre milioni di catalani.
Non c’è da stupirsi di quello che è capitato. Rajoy, un premier che non ha neppure una maggioranza, è il pupillo di Angela Merkel e di Wolfgang Schäuble, questi due burocrati del consenso. E soprattutto Rajoy è un pupillo di quel regista che assomiglia tanto a un “biscazziere” ubriaco, di Jean-Claude Juncker, il lussemburghese presidente della Commissione europea, che forse ha affrontato qualche votazione nel “Granducato”, dove è nato e vive, tra alcuni amici al bar e che le elezioni e un referendum non ha ancora compreso bene che cosa siano.
Quindici giorni fa circa, nel suo discorso sullo Stato dell’Unione, fu proprio Juncker a non dire neppure una parola su quello che poteva accadere in Catalogna e in Spagna. Ancora stasera, il presidente della Commissione, dormiente o “su di giri”, non ha detto una parola. Così come i figli degli autori della tragedia della foresta di Teutoburgo, i nipotini di Arminio, che non riescono a comprendere che prima si deve rispettare la società e le sue scelte, mentre dopo vengono gli impianti legislativi. Sperando che la politica riesca, nel migliore dei modi, a interpretare e a mediare.
Governare dall’alto, come sembrano fare i burocrati che infestano la nuova classe politica europea e degli Stati che vi appartengono, non funziona quasi mai. Così come non funzionano alla lunga le “ammucchiate” delle coalizioni, perché non sollecitano un grande dibattito politico che è indispensabile nelle società democratiche.
Non ha in fondo importanza il risultato del referendum e nessuno si sogna una frantumazione in nazionalismi della Spagna. Era la giornata che doveva svolgersi diversamente, senza soprattutto l’intervento della “Guardia civil” spagnola, mandata addirittura con le navi al largo di Barcellona
Una classe politica che si rispetti, in genere cerca di rappresentare il suo popolo. Nel momento in cui un popolo o una parte di un popolo non si sente più rappresentato da partiti evanescenti, che si basano su confusi programmi, oppure da burocrati che governano da lontano, è inevitabile che si lasci trasportare dalla protesta, quella che spesso si liquida con facilità con il termine populista o con il termine “plebe” creati da cattivi maestri. Come se in politica, da quando esistono le società, non si sfruttasse la propaganda, anche quella cattiva, che però di solito veniva sconfitta da una classe politica intelligente.
E’ per questa ragione, per questo dramma catalano — e chissà cosa produrrà in futuro — che si comprende che la democrazia sta attraversando una grande crisi. La democrazia rappresentativa è un “paradosso che funziona” spiegava Joseph Schumpeter, mentre Winston Churchill aggiungeva che “la democrazia è un sistema che ha mille difetti, peccato che non ci sia nulla di meglio”.
L’abilissimo Rajoy, usando la polizia contro un referendum, anche se non valido e non costituzionale, non ha capito nulla di questa “grande pancia” che è la democrazia, che di solito ingoia tutto e poi digerisce, e ha finito con il cucinare una frittata indigesta e avvelenata. Chi ha suggerito a Rajoy una simile scelta è solo un “cretino politico”, forse suggestionato dall’esito che si è avuto con la Brexit un anno fa. Non sapendo che lo stato di instabilità che c’è in tutta Europa toccherà tanti Paesi, creando ancora più confusione di quella attuale.
Di fatto, mentre si pensava che ci fosse una risicata maggioranza catalana che non voleva l’indipendenza, oggi si parla di un plebiscito per l’indipendenza. E’ Rajoy, con i suoi suggeritori, che hanno rinnovato, in modo stupido e becero, il vecchio nazionalismo catalano.
Non ce ne era proprio bisogno. Vengono in mente le parole di José Ortega Y Gasset, che, nel 1932, parlava di “conllevanza”, termine spagnolo che significava contrasti da superare con mediazioni. Viene in mente il primo capitolo di un grande libro di George Orwell, Omaggio alla Catalogna, quando lo scrittore inglese si arruolò in una Brigata del Poum e descrisse una Barcellona piena di spirito anarchico e pervasa da sussulti rivoluzionari. In quella terra, tra il 1936 e il 1938, si consumarono divisioni nella sinistra, tra gli Stati, forse si fece la prova della guerra mondiale, si uccise per strada e cadde la repubblica di Manuel Azana spianando la strada al franchismo.
Adesso, se vengono inevitabilmente in mente quei tristi ricordi, è perché il “mago” Mariano Rajoy, con alle spalle questa Europa di squinternati, li riporta alla memoria.