E’ di 200 morti e 200 feriti il bilancio degli attentati avvenuti sabato notte in un quartiere popolare di Baghdad. Un camion frigorifero imbottito di esplosivo è stato fatto saltare per aria mentre la gente festeggiava il Ramadan nelle strade. Lo stato islamico ha rivendicato l’attentato affermando che si è trattata di un’operazione kamikaze. Sempre nella stessa notte si è verificato una secondo attentato quando una bomba piazzata sul ciglio della strada è esplosa in un mercato uccidendo due persone. Ne abbiamo parlato con monsignor Louis Raphael Sako, presidente dell’Assemblea dei vescovi cattolici d’Iraq, presidente del Sinodo della Chiesa caldea e Arcieparca metropolita di Baghdad dei Caldei.
Monsignor Sako, come ha vissuto da Baghdad questi attentati?
Dopo la strage lunedì mattina mi sono recato a visitare il luogo degli attentati e a incontrare i genitori che cercavano ancora i loro bambini rimasti dispersi. Si contano quasi 400 persone tra morti e feriti. Io ho pregato e acceso delle candele per mostrare la nostra solidarietà e vicinanza con i nostri fratelli musulmani, la maggioranza delle vittime cui si aggiungono anche due cristiani. Per me è stata un’occasione per condannare questi atti di terrorismo e mandare un messaggio al governo irakeno affinché superi le differenze al suo interno.
Perché gli attentati hanno mietuto così tante vittime?
Gli attentati sono avvenuti in un quartiere popolare. I terroristi hanno approfittato della notte perché il clima è buono e durante il Ramadan la gente esce dopo il tramonto. I musulmani vanno a fare la spesa, mangiano, si raccolgono nei ristoranti.
Quali sono i sentimenti delle persone comuni residenti a Baghdad?
La gente si è un po’ abituata a questi attentati, a Baghdad risiedono 7 milioni di persone e non possono vivere da recluse. Escono di casa e nessuno sa quando ci sarà la prossima esplosione. Tocca al governo il compito di assicurare la sicurezza e proteggere la gente.
Le persone stanno pensando di andarsene?
No, in primo luogo perché la società irakena si basa ancora in larga parte sulle famiglie patriarcali nelle quali ci sono comunione dei beni e affetti. Un irakeno quindi non può pensare di partire da solo. Qui inoltre la gente ha casa e lavoro, e l’economia sarebbe anche florida se non fosse per la corruzione dei membri del governo. Gli irakeni sono molto attaccati alla loro patria: tanti cristiani sono andati via, ma quando uno parte c’è una sofferenza nel cuore.
In chi o che cosa sperate voi irakeni?
Noi abbiamo tanta speranza nel fatto che il male non ha futuro, le guerre finiranno e arriverà la pace. Bisogna quindi avere pazienza e collaborare con tutti, a partire dai musulmani, per costruire un futuro migliore. Quest’ultimo va costruito giorno per giorno, non è qualcosa di già preparato magicamente. Il mio auspicio è che si vada verso un regime laico, non teocratico o totalitario, la cui base sia la cittadinanza e non la religione, in quanto anche i musulmani devono separare la religione dallo Stato.
Perché i media occidentali hanno prestato così poca attenzione all’attentato di Baghdad?
Perché ci sono due pesi e due misure. Quando è ucciso un occidentale ne parla tutto il mondo, a Baghdad abbiamo 400 tra morti e feriti e sembra una notizia di second’ordine. Lo ritengo uno scandalo e uno shock, è la documentazione di un mondo senza valori. Chi è responsabile di tutto questo male che oggi vivono le persone in Medio Oriente, dall’Iraq alla Siria, dal Libano allo Yemen, dalla Libia all’Egitto? Chi c’è dietro e per quale ragione?
Lei come risponderebbe?
Sono gli interessi dell’Occidente. Che senso ha per esempio cambiare un regime con un altro peggiore, oppure creare caos e anarchia? Se si vuole cambiare il regime bisogna prima aiutare la popolazione. E poi chi c’è dietro l’Isis e chi lo finanza? Da dove vengono le armi, il denaro e i militanti? Oggi l’Isis vuole dominare il mondo intero con la sua ideologia, attaccare ogni Paese e uccidere il maggior numero di persone possibili per creare il panico.
(Pietro Vernizzi)