Mentre in Italia è in corso l’ennesima lottizzazione della Rai, con la nomina di dirigenti affini al Governo di turno, in Argentina Macri ha preso la decisione opposta, mettendo la parola fine alla TV pubblica al servizio del potere di turno, con la nomina, nell’unico canale statale, il 7, di persone dotate di un’alta professionalità, tra le quali, nel delicato settore dei telegiornali, un giornalista conosciutissimo, vincitore di diversi premi del settore mediatico e, lo diciamo con orgoglio, Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana proprio per l’informazione. Di origini piemontesi, Nestor Sclauzero lo abbiamo incontrato a Buenos Aires nella sede del canale.
Che ci fa un giornalista professionale e indipendente nel ruolo di direttore del telegiornale di una TV pubblica, luogo dove, in molti Paesi del mondo, questa “patente” è a carico di persone fedeli al Governo di turno?
Quello che sono venuto a fare qui, perché l’ho proposto ed è stato accettato, è poter realizzare nella televisione pubblica un sistema di informazione professionale, non governativo, e che abbia come criterio aspetti che godano della maggior accettazione più grande possibile. Come? Facendo giornalismo semplicemente, senza essere legati a canoni politici predefiniti. Secondo me, queste influenze sono molto più marcate in America Latina che in Europa, ma a ciò dobbiamo aggiungere che in Argentina questo fatto si è potenziato in una maniera incredibile nel corso di questi anni. L’idea di questo Governo, con il quale ho una relazione puramente professionale e non amicizia con questo o quel Ministro, si è realizzata con una proposta ed eccomi qui. Col tempo vedremo gli sviluppi.
Come pensa di concretizzare tutto ciò? I telegiornali includeranno anche inchieste politiche?
Sono rimasto sorpreso, una volta arrivato, nel trovarmi in un ambiente di animi esacerbati, come se un giornalista debba rispondere agli interessi di qualcuno e non alla sua professionalità. Mi son sentito chiedere se farei intervistare Cristina Kirchner e io ho risposto di sì. Però non produrrei l’intervista per dire quanto buona o cattiva sia, ma la vorrei giornalistica, come dovrebbe essere… È chiaro che farei la stessa cosa con Macri o chicchessia. Finché sono qui non produrremo un giornalismo vincolato con qualcuno, che è l’essenza basica del giornalismo.
Però come si spiega la frattura di questi anni in un Paese che ha avuto un’emigrazione massiva gigantesca, composta spesso da etnie “nemiche” nel Paese di origine, che invece qui hanno vissuto in una armonia unica al mondo?
Non sono un sociologo, ma trovo molte risposte a questi quesiti nelle navi. L’Argentina, infatti, è figlia, in una percentuale altissima, delle navi che hanno portato qui gli emigranti. Ciò ha comportato due cose: in primis che molta della gente che è arrivata qui lo ha fatto alla ricerca disperata di un presente migliore in un luogo sconosciuto, cosa che ha creato un’armonia unica; l’emigrazione ha avuto però anche, e qui sta il secondo punto, connotati politici ben marcati, dovuti a gente, nella maggior parte italiana, che si è dovuta allontanare dal proprio Paese per le sue idee, e che sempre le ha anteposte nella sua relazione con gli altri. Cosa che si è evidenziata, col tempo, nella passione per il calcio.
Cosa intende dire?
Io sono di Rosario, la città più italiana dell’Argentina. Dove puoi vivere questa passione/divisione nel calcio, che poi si è trasferita in ambito politico, come in nessun altro luogo. Ci sono due squadre, il Newell’s Old Boys e il Rosario Central, i cui tifosi vivono in due zone ben distinte della città : ho uno zio, come me di origini piemontesi, che, fanatico del Newell’s, morì senza mai mettere piede nella zona della squadra “avversaria”, sebbene con il mondiale del ‘78, attorno al nuovo stadio del Central, il quartiere fosse cambiato parecchio abbellendosi. Questo fatto, che si potrebbe definire pittoresco, rivela una realtà che, se approfondita nel politico, spiega questi anni di divisione notevole, cosa che qui si era già verificata sia negli anni Quaranta con il peronismo che successivamente con l’antiperonismo degli anni Cinquanta. Di ciò hanno approfittato poteri per aggiungere adepti al loro fianco, potenziando la divisione. Ecco fornita una spiegazione che non sarà scientifica ma si basa sul vissuto.
Ma si potrà superare questa situazione e, tornando all’ambito giornalistico, vivere una repubblica dove le idee differenti vengano rispettate? E come sei “sopravvissuto” in questi anni?
Questo dipende unicamente da noi giornalisti, ma come detto prima quello che mi sorprende è che proprio loro spesso non siano convinti di quello che dico. Per quanto mi riguarda, in questi anni ho perso non solo un programma televisivo, ma pure una trasmissione radiofonica, quella in un canale via cavo, perché non mi arrivavano sponsor per una ragione semplice: non ero allineato con il Governo precedente. Ci sono giornalisti che hanno perso più di me, altri che invece hanno pensato che “Cristina (Kirchner, l’ex Presidente, ndr) è bionda e ha occhi azzurri” e sono saliti sul treno del potere…
Ma come pensa di risolvere il problema visto che si ritrova in un ambiente non proprio favorevole?
Finora, nonostante sia qui da poco e sapendo che l’ambiente è diviso in pro e contro, non ho avuto problemi, potendo instaurare un dialogo. A me non importano le divisioni. Il problema che ho è il seguente: ognuno ha le idee che vuole, ma nell’ambito del lavoro bisogna fare giornalismo. Che significa? Osservare, raccontare storie con un criterio aperto. Questo è giornalismo basico. Se c’è un giorno con pioggia e a me non piace mentre a te va benissimo, stiamo raccontando due verità, ma al pubblico interessa sapere che piove. Punto. Quello che non è ammissibile è che ci sia un controllo dell’informazione perché rappresenti determinati interessi o che uno riceva soldi per appoggiarli.
Quanto credi che ci vorrà perché la società torni a essere serena?
Penso che la soluzione non sarà facile, anche se non impossibile, e si potrà attuare con buone idee. Il giornalismo, in particolare, avrà un’enorme importanza nella soluzione del problema: dobbiamo essere coscienti della nostra grandezza e del ruolo che abbiamo, ma soprattutto della responsabilità sociale. Dobbiamo far capire che una società non può smettere di convivere solo perché ci sono pensieri differenti: se ci riusciremo attraverso il nostro lavoro allora la soluzione è possibile. Se invece dai media continueranno a scaturire divisioni, spesso per guadagnare un punto di rating, allora sarà un male per tutti.
(Arturo Illia)