Guardando con realismo all’attuale situazione della Palestina non si può che concordare con la conclusione di Vincent Nagle nel suo recente editoriale: la presenza massiccia e in continuo aumento di colonie ebraiche in Cisgiordania rende di fatto impraticabile l’ipotesi di uno Stato palestinese nello stesso territorio. L’immagine citata da don Nagle di un gigantesco manifesto a Gerusalemme in cui tutta la Cisgiordania e Gaza sono ricoperti di simboli ebraici è una significativa testimonianza di tale impraticabilità, come lo sono le mappe dei testi arabi nelle quali viene cancellato lo Stato di Israele.
Il caos in cui è precipitato il Medio Oriente, anche grazie al cinismo occidentale, ha messo un po’ in ombra la questione palestinese, ma gli ultimi avvenimenti dimostrano come la situazione abbia continuato ad evolvere. A tal proposito, un ruolo determinante assume la ripresa dei rapporti tra Israele e Turchia, interrotti ormai da vari anni, come ha ben illustrato Michael Herzog nella sua intervista al sussidiario.
Particolarmente interessante per la questione palestinese è la prospettiva di una collaborazione tra Israele e Turchia nella ricostruzione di Gaza.
L’aspra ostilità di Hamas nei confronti non solo di Israele ma anche della palestinese al Fatah è un ostacolo alla soluzione dei “due Stati” pefino superiore a quello rappresentato dagli insediamenti israeliani in Cisgiordania. Hamas è affiliata ai Fratelli musulmani e la nuova Turchia di Erdogan ha buoni rapporti con la Fratellanzadi cui è una sostenitrice.Il controllo di Gaza ha da sempre presentato serie difficoltà, già affrontate a suo tempo dagli egiziani che la governarono fino al 1967, e nel 2005 hanno indotto Israele a ritirare dalla Striscia i propri militari e ad evacuare circa 9mila coloni. Con la vittoria alle elezioni e con la successiva cacciata dei militanti di al Fatah, dal 2007 Gaza è dominata da Hamas, in continuo conflitto con Israele e in condizioni economiche disastrose per il blocco cui la sottopone il governo di Gerusalemme.
Anche questa sembra una situazione senza vie d’uscita, se non tragiche, tuttavia le potenziali nuove relazioni tra Gerusalemme ed Ankara potrebbero delineare una possibile soluzione. I forti rapporti, anche militari, tra la laica Turchia kemalista e l’altrettanto laico Israele sionista hanno rappresentato per decenni un elemento di stabilità nella regione. Una ripresa di questi rapporti tra una Turchia sempre più islamizzata e un Israele sempre meno laico costituiscono un elemento di novità decisamente importante. E, per quanto paradossale possa sembrare, il fatto che anche a Gaza vi sia un regime confessionale potrebbe essere la chiave della soluzione, difficilissima ma forse non impossibile.
Ciò che è essenziale per Israele, qualunque sia il suo governo, è poter continuare ad esistere entro confini il più possibile sicuri. In questo senso, Hamas non è un pericolo mortale, come viene invece considerato l’Iran degli ayatollah, altro regime confessionale e nemico anche della Turchia. Per quanto difficile da realizzare, non è impensabile un “protettorato” turco su una Striscia di Gaza indipendente, che lasci al potere Hamas in cambio di un’accettazione dell’esistenza di Israele e una cessazione del blocco israeliano. Hamas è ben cosciente che la popolazione della Striscia comincia ad essere insofferente della pesante situazione in cui vive e, se ben gestita, questa soluzione potrebbe essere presentata come una vittoria di Hamas stessa. Utilizzando una volta tanto il petrolio come causa di pace e non di guerra, Gaza potrebbe essere coinvolta, con la Turchia, nello sfruttamento dei giacimenti israeliani, di cui peraltro reclama già la proprietà.
Per quanto riguarda la Cisgiordania, è già stata avanzata un’ipotesi, altrettanto difficile ma non irrealizzabile, di cui si è già parlato in un precedente articolo. E’ la proposta di Sari Nusseibeh, un professore universitario palestinese, che prevede la confederazione della Cisgiordania palestinese con il contiguo Regno di Giordania. Anche in questo caso, l’ostacolo principale rimane il destino di Gerusalemme Est, che dovrebbe tornare ai palestinesi. Si può solo sperare che dove non sono riusciti i governi laici riescano quelli confessionali.