Cinque crimini contro l’umanità, due genocidi e quattro crimini di guerra. Questi sono i capi d’accusa del processo contro Ratko Mladic che inizia oggi al Tribunale Internazionale dell’Aja. L’ex generale serbo è il principale imputato della strage di Srebrenica, la città bosniaca dove nel luglio 1995 vennero massacrati 8mila civili musulmani, di altri sette genocidi in altrettante località bosniache e di aver guidato l’assedio alla città di Sarajevo dove alla fine del conflitto si contarono 10mila morti. Durante la lettura dei capi d’accusa, il Tribunale ha detto che il generale Mladic agì in totale cooperazione con il governo serbo del presidente Milosevic: “La leadership serba scelse di usare la pulizia etnica in quei territori e diede a Mladic il mandato di applicare i confini della mappa (che avevano disegnato) alla geografia della Bosnia”.
Un processo che si tiene a quasi vent’anni dai fatti, ma che secondo la giornalista bosniaca Azra Nuhefendic contattata da IlSussidiario.net non perde la sua importanza: “Non possiamo dimenticare che in Bosnia ci sono ancora circa 30mila persone tra madri, vedove e sorelle che attendono giustizia”. Dice Nuhefendic, “questo processo è importante: senza la condanna del principale colpevole le vittime dei genocidi non potranno mai trovare pace e così i loro parenti”. Azra Nuhefendic, nata a Sarajevo e di etnia musulmana, non è credente, ma sottolinea come in Bosnia ai tempi della guerra non era importante essere musulmani praticanti per venire perseguitati e uccisi: “Si voleva creare divisione, veniva costruita una diversità inesistente con la forza per giustificare quello che si faceva”.
Il processo al generale Mladic, dopo tanti anni dai fatti, non crede possa assumere l’aspetto di una sorta di riparazione tardiva da parte della comunità occidentale per il suo scarso impegno durante gli anni della guerra in Bosnia?
E’ importante per ristabilire una verità dei fatti e perché possiamo sperare che vengano alla luce dei particolari e dei nomi che spieghino il ruolo della Serbia durante la guerra. Poi questo personaggio non deve restare impunito, come è stato Milosevic, non solo per la Bosnia ma anche per i conflitti futuri e quelli che sono in corso adesso.
Il fatto che Mladic sia stato arrestato dopo sedici anni di latitanza così come altri protagonisti dei massacri, sta a indicare che la Serbia di oggi si vuole sbarazzare di questi personaggi?
La Serbia ha fatto solo quello che è stata costretta a fare. Mladic è stato consegnato al Tribunale internazionale dell’Aia solo quando i politici serbi hanno calcolato che sarebbe stato opportuna una mossa del genere per entrare nella Comunità europea. Mladic in Serbia è ancora considerato un eroe, ma anche in quella parte di Bosnia che è abitata dai serbi e che oggi è la Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina.
Lei ritiene dunque che la Serbia giochi ancora un ruolo ostile nei confronti della Bosnia?
I personaggi degli anni 90 che hanno fatto la guerra in Bosnia sono stati sconfitti e la maggior parte processati, però la politica che ha portato la guerra in Bosnia non è stata battuta. Va avanti con altri mezzi e l’obiettivo rimane quello di costruire la Grande Serbia.
Ci può fare qualche esempio?
La Bosnia è lo Stato più povero d’ Europa ed è sull’orlo di una disintegrazione ulteriore, perché la Repubblica Serba di Bosnia, costituita con la pace di Dayton, è stata pensata per ostruire tutto quello che può fare della Bosnia un Paese normale che funzioni.
Cioè?
La Bosnia non può funzionare perché i serbi fanno di tutto perché non funzioni. Un esempio: in un anno i serbi hanno messo il veto su cento leggi che potevano avvicinare Il Paese alla comunità europea. I serbi bosniaci stanno ostruendo il funzionamento della Bosnia di oggi per gli stessi obiettivi con cui hanno cominciato la guerra. Tenga conto che siamo al punto per cui la città di Srebrenica, quella del genocidio, sta per passare sotto il controllo della Repubblica Serba di Bosnia. E’ come se Auschwitz passasse sotto il controllo di una ipotetica Germania nazista. E’ un nuovo crimine nei confronti di quella popolazione, senza poi tener conto che i politici serbi bosniaci negano il genocidio stesso.
Torniamo al generale Mladic: lei in un suo articolo ha descritto l’uomo, un codardo che si è arreso immediatamente quando si è trovato di fronte la polizia. Un uomo “privo di coerenza morale, consapevolezza, responsabilità”. Cosa è il male che lui ha incarnato?
Userei le stesse parole che vennero usate al processo Eichmann a Gerusalemme: la banalità del male. Il male in questo caso si muove su due binari: a momenti Mladic si presenta come persona malata che non è in grado di seguire il processo, in altri si lamenta perché i giornali mostrano le sue immagini di quando è stato catturato. In altri ancora dice “Io sono il generale serbo che tutto il mondo conosce”. Sono gli eccessi di un personaggio che da una parte sta giocando a dirsi eroe e dall’altra, per difendersi al processo, impersona il ruolo di persona che sta per morire, il che non è assolutamente vero.
Si è detto che quanto fatto da Mladic fosse il frutto di secoli di odio tra serbi e musulmani.
No, assolutamente no. Il male è stato ben progettato e pianificato. Durante la guerra i politici dicevano che si trattava di odio secolare, ma non è vero. La storia della ex Jugoslavia non è peggio di quella dell’Europa. Quando si tratta di politica, il male è sempre costruito, incoraggiato, pianificato come è stato in Bosnia. Non è una malattia a livello personale.
E’ possibile, a tanti anni di distanza da quei fatti orribili, parlare di perdono?
Il perdono è necessario. Prima si fa, meglio è, per il futuro non solo dei rapporti fra gli Stati, ma per le singole persone che potranno vivere più serenamente. Allo stesso tempo non si deve però dimenticare quello che è successo, perché quando si dimentica un crimine, ne comincia un altro.