C’è una cosa su cui repubblicani e democratici, analisti ed esperti, concordano: le elezioni di martedì non sono state un referendum sull’operato di Barack Obama. Lo ha detto il governatore repubblicano del Mississippi, Haley Barbour, lo ha ripetuto, anche per ovvie ragioni di opportunità, David Axelrod, consigliere del presidente.
Ma se Obama resta saldamente in sella, se i democratici continuano a gestire l’agenda al Congresso, i segnali che arrivano dall’America sono piuttosto nitidi. I repubblicani, travolti dall’onda obamiana e dalla sua eterogenea coalizione un anno fa, hanno mostrato muscoli, forza organizzativa e la capacità di risollevarsi. Naturale per tutti pensare già alle elezioni di Midterm del prossimo anno. Quelle saranno il vero punto di svolta, il primo verdetto su Barack Obama.
Intanto però c’è da registrate che il New Jersey torna a parlare repubblicano. Lo Stato industriale, roccaforte, seppur non sempre solidissima, dei democratici, ha scelto Chris Christie. Ma soprattutto ha liquidato Jon Corzine, governatore in carica, per la cui rielezione la Casa Bianca si era mobilitata.
Molto meno invece Obama e il suo staff si erano dati da fare per Creigh Deeds (41%) che in Virginia è stato stracciato dal repubblicano McDonnell (59%). Segnatevi questo nome, non tanto per la sua leadership, ancora in divenire, quanto perché è stato capace di correre una campagna elettorale perfetta. Attraendo simpatie fra i conservatori e conquistando il voto degli indipendenti, sempre più ago della bilancia dei destini elettorali dell’America.
Due Stati quindi entrano fra le caselle rosse, dopo essere state blu democratico. Se anomalo è il caso del New Jersey, lo è meno in verità quella della Virginia. Fu piuttosto una sorpresa lo scorso anno vedere la Virginia votare Obama: dal 1964 gli abitanti dello Stato a sud di Washington Dc non sceglievano un candidato democratico per la Casa Bianca. Optarono per Obama. Ma la Virginia resta uno Stato rosso repubblicano. Martedì è tornata all’ovile.
Sono le dimensioni della sconfitta democratica a stupire. I democratici hanno lasciato per strada quasi 500mila voti in un anno. McDonnell ha conquistato oltre il 90% delle contee. In New Jersey, Corzine si è fermato al 44,6% contro il 48 di Christie. I democratici hanno perso quasi 800mila voti rispetto allo scorso anno.
Malgrado siano state elezioni dall’impronta fortemente locale (anche se i due Stati sono rilevanti), il dato che emerge è preoccupante per i democratici: la coalizione di Obama non ha tenuto, si è assottigliata. La piattaforma politica della sinistra Usa (sanità pubblica e diritti civili, maggior ruolo dello Stato federale) non è così gradita agli americani. Un anno fa la personalità di Obama (e lo stato penoso dell’economia unito all’”odio” per Bush) mascherò i problemi strutturali dei democratici. Che quest’anno sono, seppur parzialmente, venuti a galla.
Una notizia lieta per la sinistra viene dal confine con il Canada. Lassù nel distretto 23 dello Stato di New York il candidato democratico Owens ha battuto il conservatore Doug Hoffman. Piuttosto il distretto 23 offre una lezione alla destra opposta a quella della Virginia. Laddove il candidato di destra è un conservatore anziché un repubblicano moderato, le chance di vittoria diminuiscono.
Il distretto 23 era infatti un seggio alla Camera bassa di Washington repubblicano. Ora è democratico. Ha ragione Axelrod a gongolare per questo successo. Ma potrebbe essere una vittoria di Pirro. Perché i repubblicani, dati per morti da molti analisti all’indomani della vittoria di Obama, sono rinati. E sembrano pronti alla sfida del 2010.
C’è poi il caso di New York, dove Bloomberg, candidato indipendente sostenuto dai repubblicani ha battuto di un soffio lo sfidante democratico Billy Thompson. Che ha sfiorato l’impresa. Malgrado sia stata surclassato in quanto a soldi spesi. Un segnale positivo, la tenuta di Thompson, per i democratici. Anche se New York resta pur sempre fortemente liberal. E qui le “truppe” di Obama difficilmente lasceranno strada ai rivali.