Un musulmano spara alla polizia a un controllo stradale, poi va all’aeroporto di Orly a Parigi, tenta di rubare l’arma a un militare e finisce ucciso dalla polizia. E subito comincia la saga internazionale della perdita di tempo. Ha urlato “Allah Akhbar” e quindi era un terrorista. Contrordine, non ha urlato “Allah Akhbar” e quindi era solo uno squilibrato. Non era schedato, quindi non c’entrava con l’Isis. Forse però avevano sbagliato a schedarlo, e con l’Isis c’entrava eccome. Macché, spacciava droga, come faceva a essere un estremista islamico. E così via.
Due giorni fa ho avuto occasione di tenere un seminario sul terrorismo ad alti gradi degli eserciti di una dozzina di Paesi. Erano quasi tutti d’accordo con me: questi sono modi di ragionare completamente superati. Valevano una volta: ma, appunto, una volta. Almeno dall’autista del camion che ha travolto la folla il 14 luglio 2016 a Nizza facendo 86 morti e 458 feriti, i discorsi che cercano di distinguere fra squilibrati e terroristi, piccoli criminali pieni di odio contro il Paese che li ospita e militanti dell’Isis sono ragionamenti da disinformati se fatti in buona fede, “fake news” se diffusi ad arte per evitare che siano poste scomode questioni politiche.
Dimenticate i terroristi di un tempo, barba lunga e Corano nello zaino. Avreste potuto sorvegliare tutte le moschee radicali d’Europa e non avreste trovato né il camionista assassino di Nizza né, con ogni probabilità, l’uomo appena ucciso a Orly. Perché i nuovi terroristi in moschea non ci mettono piede. Frequentano i bordelli, i luoghi dove si spaccia droga, qualche volta anche i bar per omosessuali.
E tuttavia l’Isis c’entra. Perché l’Isis, almeno dall’inizio del 2016, ha cambiato strategia. A differenza di al-Qa’ida, ancora abbastanza fedele alle tradizioni — per cui le moschee radicali vanno ancora sorvegliate, visto che lì recluta l’organizzazione fondata da bin Laden — l’Isis applica le idee innovative di Abu Muhammad al Adnani, il siriano portavoce dello stato islamico ucciso in un bombardamento ad Aleppo il 30 agosto 2016. Adnani aveva proposto il passaggio a una fase due del terrorismo in Occidente, dove non si reclutano più pii musulmani nelle moschee radicali, troppo sorvegliate. Si reclutano immigrati o figli di immigrati nati musulmani ma che hanno dimenticato la loro religione: bevono, si drogano, vanno a prostitute e magari sono pure omosessuali. Fra tante caratteristiche, tutte negative dal punto di vista dell’Isis, ne hanno una positiva che le compensa tutte: la polizia non penserà mai a loro come potenziali terroristi. E per reclutarli non si devono neppure girare i bordelli. Adnani passava gran parte del suo tempo davanti a un computer. Studiava i profili di chi sembrava arabo e postava messaggi di odio contro la Francia o il Belgio dove lui o i suoi genitori erano immigrati e non gli davano il denaro e gli agi cui pensava di avere diritto. Adnani — e c’è chi continua il suo lavoro — si era specializzato negli odiatori da testiera, versione araba del personaggio Napalm 51 creato da Crozza, meglio ancora se appassionati di giochi di ruolo violenti dove, nella realtà virtuale, vince chi ammazza più poliziotti. Adnani diventava loro amico, e cominciava a sussurrare che forse il virtuale poteva diventare reale, che la fama e la gloria erano dietro l’angolo, bastava alzarsi dal computer e ammazzare veri infedeli e veri poliziotti.
Funziona? Certo; non funziona con molte persone. Ma ne bastano poche per fare qualche botto clamoroso. Sono squilibrati o sono terroristi islamici? Sono criminali o militanti? Per chi ha studiato Adnani, la risposta è che sono tutte e due le cose insieme e le distinzioni ormai sono impossibili. È terrorismo di matrice ultra-fondamentalista islamica? Lo è, perché conta chi tira le fila e incita, e si tratta di militanti radicali che stanno in Siria, in Iraq o magari solo in qualche sobborgo di Bruxelles.
Piaccia o no, il nuovo terrorismo è questo. E più è sconfitto sul terreno in Iraq e Siria più l’Isis agirà soprattutto in questo modo. Armando, senza neppure conoscere i loro veri nomi, solo i nomignoli da Internet, e senza mai incontrarli fisicamente, terroristi invisibili e impossibili da rilevare prima che agiscano. Anche la deradicalizzazione, forse mai davvero cominciata se non come business, è già finita. Non si può deradicalizzare chi non è mai stato radicale, solo marginale e violento. Contro la marginalità e la violenza da disoccupati di periferia e da Internet incattiviti si può agire, intervenendo sul contesto sociale e prosciugando l’acqua dove l’Isis pesca. Ma è un lavoro lungo e difficile. Non esistono scorciatoie.