Sulle coste libiche ci sono 360mila immigrati pronti a partire per l’Italia. A lanciare l’allarme è l’Ocha, l’ufficio affari umanitari dell’Onu. Una cifra ben superiore ai 153mila profughi sbarcati in Italia dall’inizio del 2016. Sempre secondo l’Ocha, oltre un milione di libici si trovano a vivere una grave emergenza sanitaria, e quindi il numero degli sbarchi in Italia potrebbe ulteriormente aumentare. Del resto solo nell’ultima settimana sono arrivati oltre 12mila migranti. Ne abbiamo parlato con Fausto Biloslavo, inviato di guerra de Il Giornale.
Ritiene che le cifre dell’Ocha abbiano un effettivo fondamento?
Non so come l’Ocha conti i migranti sul terreno, ma i numeri sono comunque ingenti. Io sono stato in Libia di recente, e anche una grande città come Misurata è piena di immigrati che cercano qualche lavoretto per raggranellare i soldi necessari per attraversare il Mediterraneo. Li si nota perché provenendo dall’Africa nera la loro carnagione è diversa rispetto a quella dei maghrebini. L’aumento ulteriore di 12mila unità per quanto riguarda gli immigrati già arrivati in Italia dalla Libia nell’ultima settimana documenta che la situazione è questa.
Significa che la rotta di chi parte si sta spostando da Tunisia ed Egitto alla Libia stessa?
La Tunisia è l’unico Paese delle Primavere arabe che ha cercato di uscire dal tunnel, e sicuramente le partenze sono diminuite anche perché quanti prima partivano dalla Tunisia adesso salpano dalla Libia. L’estate scorsa erano aumentate anche le partenze dall’Egitto. I veri punti di partenza però sono sempre stati in Tripolitania, soprattutto dal grande hub di Zuara, da Sabratha o da altri piccoli porti vicino a Misurata e a est di Tripoli.
Dalla Libia partono anche i profughi siriani?
In Libia ci sono alcuni siriani ma pochi. La maggioranza viene dall’Africa Orientale, come Somalia, Sudan, Eritrea ed Etiopia, o dai Paesi confinanti con il Maghreb come il Mali. Molti inoltre vengono dalla stessa Africa Occidentale, cioè da Paesi che non hanno situazioni di guerra quanto piuttosto problemi economici come Senegal e Nigeria. La Libia è l’imbuto di chi proviene dall’Africa nera.
Che cosa sta avvenendo nel frattempo sulla rotta dei Balcani?
Non so quanto durerà l’accordo Ue-Turchia, perché ci sono già Paesi dell’Est Europa che si stanno agitando. La Bulgaria per esempio ha stanziato fondi per allungare il muro di cui già dispone. Al momento comunque regge l’accordo che prevede che i profughi restino in Turchia, e anzi quanti passano clandestinamente in Grecia dovrebbero ritornare indietro. Non a caso a Lesbo sono stati allestiti dei campi di smistamento, dove sono scoppiati dei duri scontri e ci sono delle serie difficoltà nel tenere l’ordine.
L’Italia riconosce il governo di Tripoli ma non quello di Tobruk. E’ questa scelta a impedire di fermare gli sbarchi?
A dire il vero fino a pochi mesi fa l’Italia riconosceva il governo filo-occidentale di Tobruk. Quindi quest’ultimo, su richiesta del generale Khalifa Haftar, non ha riconosciuto il governo di Al-Serraj. Ciò la dice lunga sul caos libico, in cui siamo riusciti ad aggiungere un governo al governo islamista di Tripoli, che ogni tanto rialza la testa. Significa che bisogna mettere d’accordo almeno le due forze maggiori, cioè il governo di Serraj e di Haftar, altrimenti si rischia la separazione, che di fatto già esiste, della Libia in due entità, Cirenaica e Tripolitania.
Che cosa deve fare l’Italia per tamponare il flusso dei migranti?
Per tamponare il flusso c’è un’unica soluzione: occorre stringere degli accordi molto chiari e precisi sia in termini di aiuti sia in termini di rimpatri forzati di chi non ha diritto a rimanere in Italia. Quelli che arrivano dai barconi infatti in parte sono profughi e in parte clandestini. Noi questi accordi non li abbiamo con tutti i Paesi, bensì soltanto con alcuni, e comunque ci manca piano Marshall per tamponare l’immigrazione clandestina.
(Pietro Vernizzi)