BERLINO — Come ha reagito la Germania di fronte agli avvenimenti parigini della notte tra il 13 e il 14 novembre, che ravvivano ed intensificano le domande che ci si era posti dopo il massacro di Charlie Hebdo il 7 gennaio scorso? La Germania è sotto choc e le reazioni vanno da un’intensificazione di ciò che potrebbe essere chiamato un “dialogo trasversale” (Papa Francesco), ma che è più un moto spontaneo dell’anima tedesca che una una vera scelta di ragionevolezza, fino ad una reazione, anche questa intensificata, di rifiuto di ciò che viene chiamata un’immigrazione caotica e senza coordinazione politica, e che viene identificata con il fenomeno del terrorismo che abbiamo visto all’opera a Parigi.
La cancelliera tedesca è stata oggetto negli ultimi mesi di critiche molto intense, direi quasi selvagge, sia da parte di forze “tradizionaliste” — le chiamo così pur con l’oggettiva difficoltà di comprendere quali siano questi valori “tradizionali” a cui ci richiama: libertà di bere un latte macchiato in un bar, di comprare babbo natali di cioccolata a settembre…? — o di “destra” all’interno della Cdu, sia delle forze che si stanno coagulando intorno al partito nascente, che porta il nome di “Alternative für Deutschland” (AfD) di cui avevo già parlato in questa sede. Un giornale tedesco di destra, che porta il titolo di Junge Freiheit (Giovane libertà), e che rispecchia, a livello giornalistico, la politica della AfD, ha formulato in modo aggressivo un piano in sette punti indirizzato alla cancelliera, richiamandola all’alternativa di metterlo in pratica o dimettersi. Non si tratta di un piano nazionalsocialista (nazista) come è stato detto, ma fortemente nazionalista (egoismo collettivo chiama J.J. Rousseau il nazionalismo): in breve i sette punti chiedono lo stop del flusso immigratorio.
La frase della cancelleria “ce la facciamo”, con cui Merkel esprime la fiducia nel sistema politico, sociale ed economico tedesco di reagire anche a situazioni di crisi eccezionale, è stata accusata di irresponsabilità politica e morale. Il fatto che la cancelliera, sia in una lunga intervista con la Frankfurter Allgemeine Zeitung (Faz) sia in un altra con il secondo canale tedesco (la ZDF) abbia argomentato in modo molto preciso sia a livello di ciò che richiede la costituzione tedesca, sia di ciò che richiede la convenzione di Ginevra a proposito del trattamento dei profughi, e che può essere riassunta con l’asserzione che la dignità personale dell’uomo è inviolabile; il fatto che abbia contestualizzato l’operato di accoglienza tedesca nel quadro più generale dei rapporti con la Turchia, che a livello di accoglienza di profughi, negli ultimi due anni, ha portato un peso non indifferente e due volte superiore a quello tedesco; che abbia contestualizzato l’opera politica della Germania in un contesto europeo, non ha tranquillizzato gli avversari politici, che ora sono riusciti anche ad imporre alla cancelliera un atteggiamento più restrittivo in forza del trattato di Dublino, che per esempio non permette ai profughi della Siria, una volta giunta in Germania, di essere raggiunti dalla propria famiglia rimasta in patria. Secondo me Angela Merkel ha ceduto negli ultimi giorni alla linea dura del partito, forse anche per la paura oggettiva di una affermazione della AfD oltre i limiti del 10%.
La Faz, che negli editoriali degli ultimi tempi ha dato voce al rigore nella regolazione del flusso migratorio, espressa politicamente per esempio dal numero uno della Csu (l’alleato bavarese della Cdu) e premier della Baviera Horst Seehofer, nella pagina culturale ha proposta qualche giorno fa un’intervista con intellettuale algerino, Boualem Sansa, autore di un romanzo, 2084, che in Francia ha fatto molto discutere perché mette il dito nella piaga della grande sfida che stiamo vivendo in questi giorni. “Conosco il pericolo dell’islamismo — ha detto Sansa —. Parigi conferma solamente la mia analisi del problema. L’islamismo ha dichiarato la guerra all’umanità. I suoi sostenitori vogliono il potere. Mobilitano seguaci a livello mondiale, seguaci che vivono in un contesto (occidentale) che viene definito dal nulla, dal vuoto. Le democrazie sono deboli; per questo gli islamisti vinceranno e domineranno una grande parte della terra. Venti anni fa non c’erano e già oggi dominano più di trenta paesi”.
L’autore algerino, che vive nella sua patria, anche se i suoi scritti sono vietati, non pensa tanto ai terroristi dell’Isis, che sono secondo lui un pericolo passeggero, ma piuttosto a movimenti fondamentalisti islamici come il movimento Nahda (Wiedererwachen), che con opere caritative, scuole coraniche, rappresentanti nei parlamenti e milioni di aderenti segue la “missione (di) ridare nuova grandezza all’islam in Africa, Asia ed Europa”.
A questa sfida mondiale non può essere data una riposta solo “sociologica”, anche se differenziata, come quella proposta da Rainer Hermann in un editoriale della Faz: un mix tra azione militare e lavoro di integrazione sociale (accettazione dei giovani musulmani e dei loro valori), controllo dei gruppi fondamentalisti non solo a livello digitale, ma con informatori che si coinvolgono di persona nei gruppi più pericolosi, ed un invito ai teologi mussulmani che siano disposti a distanziarsi dall’interpretazione radicale saudita dell’islam stesso.
Non basterà neppure la soluzione solo politica, come quella proposta da Nikolas Busse, che invita la Germania a prendere sul serio la richiesta francese, cioè che l’Unione Europea aiuti la Francia, in forza della clausola che se un paese europeo viene attaccato, gli altri paesi si impegnano a soccorrerlo (art. 42 del Trattato di Lisbona).
Non basterà neppure un’analisi solo “economica”, come quella proposta da Bernd Freytag sempre sulla Faz, in cui vengono messe in luce le contraddizioni tedesche nel rapporto con il Qatar, il paese più ricco del mondo e più coinvolto, anche se è difficile dimostrarlo, con il terrorismo. L’articolo mostra con precisione i coinvolgimenti economici dell’Occidente e della Germania con coloro che finanziano il terrore e che quindi non permettono di fare quell’azione che a livello economico sarebbe certamente ragionevole: il rifiuto di un coinvolgimento economico con i paesi che lo finanziano.
Ma anche l’analisi “culturale”, piena di rabbia, proposta nel Feuilleton della Faz e firmata da Christian Geyer, del superamento dei tabù culturali che non permettono di vedere che siamo in uno stato d’emergenza e che dobbiamo rinunciare ad alcuni diritti (come quello del rispetto totale della riservatezza nella comunicazione privata e pubblica, per accentuare quello della protezione della propria vita attraverso il controllo dai nemici), sembra inadeguata. Compito questo che viene visto non solo come un dovere dell’autorità politica o di polizia o di convincimento dell’esercito nei punti di accoglienza dei profughi, ma come un compito di tutti i cittadini, che devono usare la loro libertà in primo luogo non come fattore di dimenticanza di sé, ma di assunzione di responsabilità (per esempio informando la polizia se si vede in un treno un pacco sospetto).
La cosa più interessante l’ho sentita in un simposio sulla famiglia organizzato dal CJD (Christliches Jugenddorf) da una professoressa di psicologia, Heldemarie Keller, che in un confronto a livello mondiale tra lo stile di vita della classe media occidentale e i suoi valori con la classe contadina più tradizionale ha mostrato che il nostro modo di vivere, fissato ultimamente su un valore illusorio di autonomia, ha una chance di superare la crisi in primo luogo demografica in cui ci troviamo (in Germania abbiamo il più basso incremento di nascite di tutto il mondo) solo con un “dialogo trasversale” con quelle culture che mettono “rispetto ed obbedienza” come valori centrali del loro operare e che soli permettono anche una crescita individuale che non sia solo illusoria, ma come servizio alla comunità di appartenenza.
Infine, al di là di tutte l’analisi è e rimane vera l’ipotesi di lavoro cristiana: solo l’amore è credibile, un amore incarnato nelle circostanze che vengono viste sempre in primo luogo come chance e non come problema, perché convinto che solo la testimonianza del “nulla dell’amore” (quando ci ringraziamo, diciamo “non fa nulla” per testimoniare la gratuità dell’amore) può rispondere al “nulla nichilista” che si esprime nell’omicidio selvaggio da parte dei terroristi islamici, ma anche nelle illusioni di autonomia (fedeltà ai “nostri valori”) della società occidentale.
Papa Francesco sta richiamando il mondo a questo amore donato prima di ogni nostra azione e che richiede una risposta “ecologica integrale” come rispetto della natura, dell’uomo, del diverso e in modo particolare del povero. Solo in questo programma di “ecologia integrale” sarà possibile non solo annunciare, ma testimoniare che la dignità personale dell’uomo è inviolabile.