I combattimenti tra i soldati nigeriani e gli estremisti islamici di Boko Haram hanno provocato la morte di almeno 185 persone. Gli scontri sono avvenuti venerdì in un villaggio di pescatori al confine nord-est del Paese. I ribelli hanno utilizzato i lanciarazzi per scagliare granate e i militari hanno risposto colpendo i quartieri densamente popolati dai civili con le mitragliatrici. Dalla città di Jos, nel centro del Paese, che funge da cerniera tra la zona nord a prevalenza musulmana e quella sud a maggioranza cristiana, il priore del convento dei Padri Bianchi, Alexander Longs, ci racconta che cosa sta avvenendo nel più popoloso degli Stati africani.
Per quale motivo in Nigeria è tornato a scorrere il sangue?
Conosciamo Boko Haram e il fatto che questa organizzazione è guidata da degli autentici criminali, i quali non perdono nessuna opportunità per uccidere delle persone innocenti. La Nigeria è ancora in attesa del fatto che le forze dell’ordine rendano nota l’esatta dinamica degli scontri. Ciò che sappiamo è che Boko Haram esiste e che in questo momento il governo federale sta cercando di coinvolgerla nel dialogo nazionale per convincerla a deporre le armi. L’accordo ufficiale non è stato ancora raggiunto, ma la gente sta incoraggiando il governo a continuare a negoziare. Nello stesso tempo ci sono persone che preferiscono sparare, combattere e uccidere nel nome di Boko Haram, e questo non favorisce certo una soluzione pacifica del conflitto.
Il governo sta facendo tutto quanto è in suo potere per risolvere pacificamente il conflitto?
Il governo controlla la situazione, ma potrebbe fare di meglio. Lo Stato sta concentrando i suoi sforzi nella lotta alle infiltrazioni qaediste nell’area a nord del Paese. La misure di sicurezza sono state rese più stringenti rispetto al passato, e le autorità stanno cercando di far passare il messaggio che è compito di chiunque collaborare per tenere la situazione sotto controllo. Ciascun cittadino deve cioè informare gli agenti di polizia dei movimenti particolarmente sospetti.
Com’è nel frattempo la situazione a Jos?
In questo momento a Jos non ci sono dei particolari problemi. La gente si dedica ai suoi affari ed è tranquilla, ma le forze dell’ordine continuano a monitorare quanto sta avvenendo, nell’eventualità che si rendano necessarie misure particolari.
Che cosa ne pensa della proposta di perdonare i terroristi di Boko Haram, di cui si è discusso in Nigeria nelle ultime settimane?
La ritengo una buona idea. In una prospettiva cristiana la riconciliazione è sempre necessaria, ma anche da un punto di vista “laico” il perdono è indispensabile per la convivenza civile, tanto è vero che Ssi tratta di un concetto che appartiene allo stesso Islam. Sono quindi favorevole all’amnistia, perché nel momento in cui ci incamminiamo in un sentiero di guerra, solo Dio sa quanto a lungo può durare. Questa è la principale argomentazione a favore dell’amnistia e del perdono, ed è giusto incominciare da qualche parte perché è l’unico modo per fare progressi. Il problema è che non conosciamo esattamente chi rappresenti Boko Haram, ed è questa la fonte delle difficoltà che stiamo affrontando.
Se lei è a favore dell’amnistia, per quale motivo prima auspicava un maggiore impegno del governo anche sul piano militare?
Il governo deve cercare di garantire la sicurezza, in quanto questa è la responsabilità che gli compete. Nello stesso tempo anche la riconciliazione è un’opportunità che può essere colta dal governo, e in parte rappresenta una strada che è già stata perseguita. Anche se la questione che ritengo decisiva è che in uno Stato la cui popolazione è costituita sia da musulmani sia da cristiani, il primo aspetto su cui bisogna lavorare è la convivenza tra le persone di diversa religione. La priorità deve essere quindi quella di riconciliarci e di vivere insieme, e il governo ha il dovere di andare in questa direzione, rafforzando le relazioni reciproche ed evitando in tutti i modo che degenerino per motivi religiosi.
(Pietro Vernizzi)