“Per quanto concerne la situazione all’interno della Ue, i movimenti secondari di richiedenti asilo tra stati membri rischiano di compromettere l’integrità del sistema europeo comune di asilo e l’acquis di Schengen. Gli stati membri dovrebbero adottare tutte le misure legislative e amministrative interne necessarie per contrastare tali movimenti e cooperare strettamente tra di loro a tal fine”. Questo è l’articolo 11 dell’accordo raggiunto il 29 giugno 2018 in un Consiglio europeo che ha affrontato, oltre a questioni importanti come per esempio i rapporti con la Nato e che non possiamo discutere qui, il cruciale problema delle migrazioni di origine africana.
E’ noto che questo punto è decisivo perché consente ad Angela Merkel di continuare a guidare la sua coalizione con lo Spd e la Csu, sventando la minaccia di quest’ultima preoccupata per l’avvicinarsi delle elezioni bavaresi con la crescita costante dell’influenza di Alternative für Deutschland (AfD). Il crollo del suo governo avrebbe creato uno squilibrio di potenza continentale di cui si sarebbe avvantaggiata immediatamente la Francia di Macron protesa, come è noto, a forgiare in modo diverso le istituzioni europee, godendo delle conseguenze del vuoto di potere che il centro democristiano tedesco minaccia di creare nelle istituzioni comunitarie.
Questo vuoto di potenza non sarebbe stato riempito solo dalla Francia, ma anche dagli Stati Uniti d’America impegnati come non mai nel contrastare la deflazione secolare tedesca e a riaffermare un ruolo centrale in Europa, contando però sul rafforzamento della Nato e quindi su una riformulazione dei budget militari degli Stati europei impossibili se la ricetta ordoliberista dell’austerità continuasse a governare il vecchio continente.
Naturalmente quest’articolo 11 disvela come non mai la contraddizione profonda della macchina istituzionale comunitaria europea. Gli Stati nazionali continuano a essere rilevanti appena si esce dal recinto della circolazione della moneta per entrare in quello della circolazione delle persone, contraddicendo la filosofia stessa dei sostenitori di una eurofilia che si sta sciogliendo come neve al sole appena incontra il paradigma della diversità. Ma il grande protagonista di questo consiglio è stata l’Italia. Nello stesso giorno in cui si emanava quel comunicato, Enrico Letta veniva citato in un lungo articolo del Financial Times dedicato al conflitto franco-tedesco che sottintendeva lo scontro europeo sui migranti. Enrico Letta sosteneva che l’Europa era in difficoltà nel raggiungimento di un accordo su tale questione perché nell’Europa medesima si era venuta a creare (traduco liberamente dall’inglese ma non dal francese) “una situazione all’italienne”, ossia una confusione e una crisi tale che offriva al medesimo l’occasione di rendere manifesto tutto il suo patriottismo.
Invece è proprio l’Italia a uscire vittoriosa da questo conflitto. Ed è l’Italia del governo Conte che ha dimostrato che ciò che si è raggiunto a Bruxelles, ieri, si sarebbe potuto raggiungere anche prima, se buona parte della nostra classe politica italiana non parlasse in italiano pensando contemporaneamente in francese o in tedesco. I mass-media controllati dalla borghesia compradora, dipendente dalle istituzioni europee e dai due Stati che lottano per controllarle, sicuramente insisteranno oggi (io scrivo il giorno 29), sul fatto che l’Italia esce sconfitta perché i cosiddetti centri di accoglienza sono sottoposti alla volontarietà degli stati componenti l’Unione. Ma questo non è un fallimento del governo Conte, semmai è la dimostrazione che questo governo ha cominciato a porre un problema politico che non è risolvibile oggi, perché l’unico punto archetipale su cui si fonda il costrutto dell’Ue è economicistico, fondato non su un potere stabile, ma fortemente instabile a seconda che prevalgano interessi francesi o interessi tedeschi o — come accadde con la nomina di Draghi alla Bce — interessi statunitensi, preoccupati, questi ultimi, per la crescita della potenza tedesca e per il neogaullismo francese o ancora, come sta accadendo oggi, interessi britannici, attraverso il ruolo che l’Olanda e le città anseatiche della Germania esercitano sulle istituzioni europee.
Ciò che conta è che si è iniziata una discussione sul trattato di Dublino e il fatto che non si sia trovato un accordo sulla sua riforma non deve nascondere che se ne discute e che il problema è reale ed è cruciale e il fatto che non si riesca subito a riformarlo, quel trattato, disvela a tutti quanto sia inesistente la cosiddetta cultura europea e quanto sia inesistente la immaginifica “condivisione di sovranità”, che non esiste per nulla.
In questo senso una direzione di marcia tuttavia si intravede ed è il punto 3 del comunicato finale che così recita: “Tutte le navi operanti nel Mediterraneo devono rispettare le leggi applicabili e non interferire con le operazioni della guardia costiera libica”, che è un punto essenziale che consente di porre sotto controllo le rotti migratorie marittime e inaugura una discussione politica sui porti di attracco e sull’accoglienza e non solo sui salvataggi in mare.
Quindi bisogna valutare il fatto che finalmente l’Italia ha fatto sentire la sua voce, che si tratta ora con determinazione, passo dopo passo, di conquistare quella condivisione di destino che risiede non solo sui respingimenti ma anche sulla condivisione delle quote di migranti che l’Europa non può ostinarsi a non condividere. Chi arriva in Italia arriva in Europa, e su questo per la prima volta, dopo le crisi migratorie, l’Italia ha segnato un punto.
Certo, è sconcertante che la retorica europeista non riesca a rassegnarsi a un’operazione di verità e a comprendere che il gioco di specchi ideologico e non solo di potenza in cui è immersa, sta esso stesso — e non le forze euroscettiche — indebolendo il ruolo dell’Europa nel mondo. Il segretario di stato Usa Mattis ha incontrato Xi Jinping e Putin e Trump hanno annunciato che si incontreranno a Helsinki, prossimamente. E Trump ha annunciato che quando si recherà in Europa per il summit prossimo della Nato si fermerà a Roma per colloqui con il governo italiano. Gli Usa, insomma, stanno uscendo dall’unipolarismo delle tre precedenti presidenze — Clinton, Bush secondo e Obama — e si sforzano di dar vita a un nuovo sistema internazionale, fatto di pesi e contrappesi e della riaffermazione della necessità che questo nuovo sistema internazionale abbia di nuovo per protagonisti gli storici Stati dominanti la storia del vecchio continente, Germania e Francia, e in misura subalterna, ma geostrategicamente decisiva per la sua collocazione mediterranea, l’Italia.
Non è un caso che, come una bomba nella notte in cui si discutevano i passi più delicati del comunicato, con un professor Conte che rispondeva educatamente a un Macron arrogante, in quella notte sia giunta la notizia che la Deutsche Bank non aveva superato la seconda serie di stress test della Federal Reserve nordamericana. Va infine ricordato che nella politica estera e nelle relazioni diplomatiche bisogna muoversi con un alto rispetto istituzionale, ed è quello che è mancato al presidente Macron poche ora prima che iniziassero i colloqui di Bruxelles. Macron infatti si è recato in visita al Santo Padre e come i re francesi della Francia cattolicissima è stato insignito di quella onorificenza sacrale di Protocanonico d’onore della Basilica di San Giovanni in Laterano, così come fece Enrico IV, primo protocanonico d’onore, come ben documenta la statua bronzea di quel re francese collocata sotto il portico di Sisto. Sappiamo tutti naturalmente che il 13 dicembre di ogni anno (il 13 dicembre è la data di nascita di Enrico V) nella Cattedrale si celebra la “Missa pro natione gallica”. Dispiace che quest’onorificenza sia stata consegnata al presidente della Repubblica francese senza che questi si sia recato a rendere omaggio al nostro presidente della Repubblica, che oltre a essere il più alto rappresentante massimo delle istituzioni italiane è anche un cattolico praticante.
Di questo sfregio istituzionale i mass-media della borghesia compradora non hanno fatto alcun cenno. Anche per questo l’azione del governo Conte merita il plauso di tutti gli uomini di buona volontà.