“Un intervento dell’Italia in Libia in difesa dei nostri interessi farebbe il gioco dell’Isis e si rivelerebbe un boomerang per il nostro Paese. Se si muove sullo scacchiere libico da sola, l’Italia sarà immediatamente identificata come una potenza coloniale”. E’ l’analisi di Gian Micalessin, inviato di guerra de Il Giornale, in una fase in cui il conflitto libico registra uno stallo, con il governo di Tobruk che ha espresso la sua contrarietà al dialogo sponsorizzato dall’Onu. Intanto una decina di jihadisti sarebbero rientrati in Italia da Siria e Iraq. Il capo della polizia, Alessandro Pansa, nel corso di un’audizione in Parlamento ha dichiarato che si tratta di “soggetti pericolosi nei confronti dei quali c’è massima attenzione e strumenti per controllarli in maniera adeguata”.
Quanto sono seri i rischi per il rientro dei “foreign fighters”?
Se stanno rientrando da Siria e Iraq, sono tutte persone che hanno avuto un addestramento militare, hanno combattuto e quindi sono potenzialmente pericolose. Nel momento in cui sappiamo chi sono, mi chiedo perché non li arrestiamo. Stiamo parlando di soggetti estremamente pericolosi, come hanno documentato gli attentati a Parigi e al museo di Bruxelles.
Incontrando la comunità islamica in Italia, Alfano è caduto nel tranello dei Fratelli musulmani?
Con l’Ucoii, i Fratelli musulmani hanno attuato un’operazione molto intelligente, in quanto negli ultimi anni si sono dati un’immagine pulita e hanno affidato i vertici a degli esponenti che apparentemente sono moderati. Non bisogna però dimenticare che l’Ucoii è pur sempre una filiazione dei Fratelli musulmani. Questi ultimi si ispirano al principio in base a cui la Sharia deve informare qualsiasi aspetto della politica e della vita umana. E’ questa la vera differenza che corre tra l’Islam moderato e quello politico che vuole imporre la sua visione all’intera società. Quando l’Ucoii romperà con i Fratelli musulmani saremo più tranquilli.
Sul fronte della sicurezza l’Italia ha una politica efficace?
Finora i fatti fanno pensare di sì. L’unico attentato è stato a quello della caserma Perrucchetti di Milano nel 2009. Da questo punto di vista la capacità dei nostri servizi di sicurezza sembra essersi dimostrata all’altezza. Il problema è l’elevata imprevedibilità di queste azioni terroristiche. L’Isis non ordina attentati, non ha una direzione strategica, e quindi non c’è un metodo per prevenire eventuali attacchi. Tutto si basa sulla suggestione e sull’evocazione di possibili atti. Con l’eccezione di Bruxelles, finora gli attentati in Europa sono stati commessi da lupi solitari o da personaggi confusi nell’anonimato.
Passando invece al fronte in Libia, secondo lei che cosa ha in mente il governo italiano?
Nei piani del governo italiano c’è l’avvio di un dialogo con le parti libiche che possono essere interessate a combattere l’Isis. Occorre innanzitutto capire chi sono i nostri possibili alleati sul fronte libico, e poi chiarire che cosa vogliono fare gli altri Paesi occidentali. E’ un dato di fatto che l’Italia non può intervenire da sola, gli Stati Uniti in questo momento non sono affatto interessati a un intervento. Francia e Regno Unito d’altra parte sono i nostri alleati ma anche i nostri potenziali concorrenti. L’Italia si sta quindi muovendo con estrema cautela, pur essendo lo Stato con la migliore visione strategica e d’intelligence per quanto riguarda ciò che sta avvenendo sul terreno.
Il nostro Paese può fare di più?
Il punto è che l’Italia non ha né gli uomini né i mezzi per affrontare un intervento da sola sul territorio libico. L’unico intervento che potremmo fare è quello in difesa degli interessi strategici, mirato eventualmente a colpire le organizzazioni che si occupano del trasferimento dei profughi. C’è comunque un problema molto serio. Se si muove sullo scacchiere libico, l’Italia sarebbe immediatamente identificata come una potenza coloniale che cerca di riappropriarsi dei vecchi territori dominati tanti anni fa. Ci troveremmo in una posizione politicamente molto scomoda, che garantirebbe un vantaggio innanzitutto all’Isis.
Che cosa sta avvenendo intanto sul fronte siriano?
L’Isis è in difficoltà sia ad Aleppo sia a Kobane sia sull’estremo fronte nord-orientale lungo le arterie che permettono i collegamenti tra Siria e Iraq. Lo Stato Islamico sta cercando di aprirsi un varco per mantenere aperti i collegamenti con la Turchia. Pur appartenendo alla Nato e sostenendo di non avere nulla a che fare con l’Isis, Ankara ha sempre manifestato un atteggiamento assai ambiguo, garantendo rifornimenti di armi, di munizioni e di denaro allo Stato Islamico. Il Califfato non a caso vende il suo petrolio alla Turchia. Il suo obiettivo quindi è aprirsi un varco verso Ankara che gli permetta di non restare isolato.
(Pietro Vernizzi)